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Trovarsi un maestro e seguirlo è l'unico antidoto a questi tempi di stupidità

Marco Archetti

Alcune lezioni ancora attuali nella corrispondenza tra Flaubert e Maupassant

Trovarsi un Maestro, trovarselo scomodo. Leggendo la corrispondenza di Flaubert si comprende Maupassant, che talvolta preferiva il canottaggio alle sue filippiche: il Gustave maggiore era un genio smisurato ma un epistolografo noioso, e strigliare il futuro autore di Bel-Ami era un passatempo che prendeva molto sul serio. A Laure de Maupassant, la madre, scriveva: “Sono così disgustato da tutto, in particolare dalla letteratura militante, che ho rinunciato a pubblicare. Malgrado questo, bisogna incoraggiare tuo figlio per il gusto che ha nei versi, perché è una nobile passione, perché le lettere consolano di tante sventure e perché ha talento. Credo che il vostro giovane sia un po’ troppo flâneur e poco accanito nel lavoro. Vorrei vedergli intraprendere un’opera di lungo respiro, fosse anche detestabile”.

 

Cinque anni dopo, nel 1879, Maupassant era da tempo sotto la sua ala (di domenica, perché di giovedì frequentava la cosiddetta “coda di Zola”) e Flaubert gli scaglierà addosso la più furiosa geremiade di cui sarà capace. “Vi lamentate che il culo delle donne è monotono? C’è un semplice rimedio, ed è di non servirsene. I vizi sono meschini, dite. Ma tutto è meschino! Non ci sono abbastanza possibilità di lavorare le frasi, dite. Cercate e troverete! Infine, caro amico, avete l’aria molto annoiata, e la vostra noia mi affligge, perché potreste impiegare più gradevolmente il vostro tempo. Bisogna, avete capito giovanotto? bi-so-gna lavorare più di così. Arrivo a sospettare che siate un fannullone. Troppe puttane! Troppo canottaggio! Troppi esercizi fisici! L’uomo civilizzato non ha bisogno della locomozione quanta ne pretendono i medici. Siete nato per fare dei versi? Fatene! Tutto il resto è vano, a cominciare dai vostri piaceri e dalla vostra salute, ficcatevi questo ben dentro la testa. Vivete in un inferno, lo so, e vi compiango dal più profondo del cuore. Ma dalle 5 della sera alle 10 della mattina il vostro tempo può essere consacrato alla Musa, la quale è ancora la migliore ragazza. Mio caro buon uomo, a cosa serve sfrucugliare la propria tristezza? Bisogna porsi faccia a faccia con se stessi da uomini forti, ed è il mezzo per diventarlo. Un po’ più di orgoglio! Ciò che vi manca sono i principi. Si ha un bel dire che sono necessari; resta da sapere quali. Per un artista ce n’è uno solo: sacrificare tutto all’Arte. La prima persona di cui deve fregarsene è se stesso”.

 

Trovarsi un Maestro, trovarselo scomodo. Non uno che ci lusinghi, non uno che ci faccia la rima, ma uno come Flaubert, che per dieci anni convincerà Maupassant a non pubblicare. Per dieci anni il Gustave maggiore sorveglierà la sua maturazione sbarrandogli la strada facile, andando contro la sua joie de vivre e contro l’impeto nemico del verso, contro quella fretta da vogatore che remava via una pagina dopo l’altra. In una parola sola: per dieci anni Flaubert lo aiuterà a crearsi. E quando Maupassant scriverà “Boule de suif” sarà il primo a gioire: “E’ l’opera di un maestro, sono incantato!”. Tre mesi dopo spirerà e Maupassant ne sarà distrutto. “Vorrei essere morto” – dirà Guy – “se fossi sicuro che qualcuno pensa a me come io penso ora a lui”. Il Maestro è nell’anima e dentro l’anima per sempre resterà. Leggo, mi commuovo, poi mi assale un dubbio: oggi c’è ancora spazio per i maestri? Riconoscere un Maestro significa riconoscere un’auctoritas e stare in suo ascolto: in quest’epoca straparlante ed egomaniaca esiste la possibilità di coltivare in se stessi il silenzio fertile dell’Allievo? In tempi sordi è concepibile la bellezza che scaturisce dal riconoscere l’autorità morale di qualcun altro? Sobillati dall’uno-vale-uno, sappiamo individuare qualcuno che, almeno per noi, valga due? Oggi Maupassant sarebbe un istruttore di Kinder Skiff e forse Flaubert giacerebbe inutile e inascoltato, sepolto dai pernacchi di una congiura di somari scorrazzanti in combriccole twittarole, tutte fotogenia social e disinteresse per la laboriosa proficuità di una relazione intellettuale.

 

Trovarsi un Maestro, trovarselo scomodo. Uno che ci aiuti a vivere non alla cieca, che dia un nome alla nostra anima. Trovarsi un Maestro: unico serio antidoto a tempi di grintosa stupidità.

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