Gli allestimenti del Fuorisalone (foto LaPresse)

Forza Salone del Mobile

Fabiana Giacomotti

Piccoli ma insostituibili. La strategia vincente sul design made in Italy. Parla Claudio Luti

Milano. Al Salone del Mobile di Milano più biennale Euroluce di Fiera Rho, parte importante ma non totalizzante di quella colossale kermesse pop nota come Design Week che inaugura oggi alla presenza molto indicativa del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, è appena arrivato come presidente Claudio Luti, patron di Kartell. Luti non ha troppa voglia di scendere in polemica contro Donald Trump e la guerra annunciata sui dazi, per due ragioni. La prima: “Noi del mobile italiano siamo troppo piccoli per rappresentare una minaccia”, ed è vero. Benché sia tornato a crescere del 2,3 per cento nel 2016, il design fattura in tutto circa 20 miliardi di euro, più o meno un decimo rispetto all’agroalimentare, e dieci miliardi in meno rispetto al solo export delle carni, dei vini, dei formaggi “avviluppati nelle foglie”, dei guts (cioè delle trippe) e di tutte le altre merceologie sotto scacco elencate nel pubblico registro degli atti del governo federale pubblicato il 28 dicembre scorso e dunque ancora durante l’Amministrazione Obama. La seconda: “Noi del design italiano siamo abbastanza insostituibili”, ed è verissimo, soprattutto quando si pensa ai terrificanti mobilini amish che andavano per la maggiore negli anni Settanta e di cui le infinite catene di cappuccini e centrifugati con arredo decapato obbligatorio sono un evidente ricordo.

 

  

In Brasile, dove i dazi sfiorano, e talvolta superano, il cento per cento, mister Kartell ha sette negozi monomarca. Vende bene. “Mi sembra che nel mondo vi siano certe qualifiche e certe posizioni ormai indiscutibili, e che il design sia una di queste. Tutti i progettisti del mondo vogliono venire in Italia a sviluppare le loro idee perché sanno che solo qui troveranno aziende in grado di assecondarne le idee più eccentriche. Agli industriali dell’arredo, la flessibilità e la voglia di rischiare di cui si accusa l’Italia non manca”.

 

La nuova edizione del Salone, la numero cinquantasei, apre con duemila espositori e una dose di energia ancora maggiore rispetto al solito: oltre all’export, lo scorso anno ha infatti recuperato posizioni anche il mercato interno, segnando una crescita del 3,1 per cento. Se la moda di alta gamma fatica ancora a rimettersi in carreggiata, e probabilmente non vi tornerà mai più, incalzata com’è dal fast fashion, il design ha invece saputo collocarsi in uno spazio a metà fra lo stile e il cibo inteso come espressione di gusto e non come apporto calorico: è insomma cool e cultivé senza impegno, se ne può parlare senza sentirsi degli idioti a prescindere e per di più, mentre i designer della moda se la giocano da grandi star, Philippe Starck, Ingo Maurer, Carlotta de Bevilacqua o Tom Dixon sono invece più che disposti a spiegare al viandante del design – fra i millecento e rotti eventi organizzati fuori Salone saranno circa trecentomila, per un indotto turistico di 230 milioni di euro – le meraviglie delle loro sedioline, dei loro divani o delle loro lampade ad altissimo risparmio energetico, un argomento solo approcciato negli ultimi anni, ma di grande rilevanza in questa edizione, che guarda alla democrazia anche su un altro fronte, quello della progettazione.

 

Dopo aver imparato a mangiare ecologico, o almeno a provare a farlo, l’occidente sta infatti tentando di consumare meno e meglio. A vivere, come usa dire, green, sia in casa sia in ufficio. Per farlo però ha bisogno che ingegneri, architetti e progettisti lavorino con uno stesso schema condiviso, il cosiddetto bim, acronimo di business information modelling, in pratica il modello unico della progettazione. Sarà il tema del grande talk organizzato da Federlegno con Edison il 7 aprile prossimo, al Mall di Porta Nuova, e della mostra curata da Cristina Cutrona per l’altra biennale, dedicata ai mobili da ufficio, che esplora le trasformazioni del mondo del lavoro con un titolo da dare l’orticaria alla gravità rabbiosa di Susanna Camusso: “A joyful sense at work”.

 

Il clima è talmente euforico che nelle zone “design district” della città, cioè Brera, Tortona e Isola, gli affitti sono cresciuti anche del centocinquanta per cento. In centro non si dorme per meno di cinquecento a notte, e anche i loft, sede privilegiata delle presentazioni di chi non possiede una showroom, costano il 32-40 per cento in più rispetto al solito. Cartier, per darsi una spolverata e godere a sua volta dello strepitoso volano, ha affittato il vecchio garage Sanremo di via delle Fosse Ardeatine.

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