La scrittrice iraniana Azar Nafisi (foto LaPresse)

Sorpresa: i nuovi censori del politicamente corretto sono i millennial

Matteo Righetto

Pessimi maestri all’opera, la missione barbarica è compiuta

Azar Nafisi, la scrittrice iraniana che negli anni Novanta dovette lasciare il proprio paese in quanto sgradita alle autorità religiose e politiche, ha di recente dichiarato che “il politicamente corretto è assolutamente incompatibile con la letteratura poiché esso non consente alcun tipo di dibattito e vuole eliminare i pregiudizi facendo appello alle emozioni”. Secondo l’autrice di “Leggere Lolita a Teheran”, il pol. corr. si basa sul desiderio di trovare soluzioni facili a situazioni molto complesse, mentre la narrativa deve farci sentire in difficoltà, talvolta addirittura a disagio. Purtroppo, però, nonostante le parole cristalline della Nafisi e di pochi altri veri (coraggiosi) intellettuali, in occidente stiamo assistendo da tempo a una erosione costante e implacabile della logica, della ragione e della libertà di espressione, in nome di un’ossessione per la correttezza politica che nel corso degli ultimi anni ha travolto come uno tsunami innumerevoli consuetudini, tradizioni locali, vocabolari, modi di dire e buonsenso comune. Ma ciò che è peggio è il fatto che questa ossessione ha travolto soprattutto l’arte e la finzione letteraria, che dovrebbero esserne immuni più d’ogni altra cosa in quanto intoccabili presidi di libertà intellettuale.

 

Qualche esempio? Il professor Alan Gribben dell’Auburn University di Montgomery, curatore di una nuova versione del romanzo “Huckleberry Finn” di Mark Twain, ha deciso di sostituire per 219 volte la parola nigger (negro) con il più sopportabile termine slave (schiavo), e già che c’era ha pensato di eliminare anche la parola injun (indiano) per non urtare la sensibilità delle minoranze pellerossa. Scelta ovviamente idiota, poiché non considera che quando il libro venne pubblicato nel lontano 1884, certi termini non avevano alcuna accezione spregiativa. Non occorre nemmeno dirlo. Eppure esempi come questo ce ne sarebbero a centinaia. Dalla “Divina Commedia” di Dante (si cita a sproposito e si condanna Maometto) fino a “Peppa Pig”, i cui autori sono stati raggiunti da una direttiva della Oxford University Press con la quale li si invita ad astenersi dal disegnare o citare suini per non urtare la sensibilità dei musulmani. Siamo evidentemente di fronte a un nuovo “credo” che riduce sempre più gli spazi d’opinione imponendo modi di pensare, di agire e scrivere esercitando un controllo via via egemone sui media e sull’arte.

 

Fino a qui però, nulla di nuovo, si potrebbe anche dire, se non fosse per l’aspetto più inquietante legato a questo fenomeno, aspetto che soltanto recentemente sta iniziando a manifestarsi in maniera chiara e del quale negli Stati Uniti si sta occupando sia l’Office for Intellectual Freedom (Oif) sia la American Library Association (Ala), ente che ogni anno a fine ottobre organizza una settimana di sensibilizzazione culturale con iniziative sul territorio per combattere la censura ideologica. I dati forniti da queste due organizzazioni, infatti, ci mostrano come il lavaggio del cervello perpetrato dal pol. corr. sia in continua crescita (nel 2015 solo negli Stati Uniti d'America sono stati boicottati, banditi, censurati quasi 300 titoli e guarda caso la Bibbia rimane ogni anno saldamente nella top ten), ma soprattutto evidenziano come nel corso degli ultimissimi tempi esso abbia mutato forme, sembianze e soprattutto fautori. A tale proposito, i segnali che dovrebbero allarmarci sono principalmente due. Il primo (secondo l’Oif) riguarda il fatto che sono sempre meno numerosi gli individui e i gruppi di persone che si oppongono a tali iniziative proibizionistiche, a conferma del fatto che la nostra società si sta progressivamente sottomettendo e arrendendo di fronte alla dittatura del Pensiero Unico: ce ne stiamo abituando passivamente.

 

Il secondo, ben più grave, riguarda il fatto che queste forme di censura provengono sempre più dal basso, cioè non dalle cattedre dei docenti, ma semmai dai banchi dei discenti. A richiedere che determinati libri vengano per così dire bannati socialmente e culturalmente con l’obiettivo di farli sparire dagli scaffali delle librerie, delle biblioteche scolastiche e pubbliche, sono infatti in misura sempre minore i professori universitari, gli insegnanti e i sedicenti intellettuali liberal e in misura sorprendentemente crescente gli studenti e i giovani in generale, adolescenti in primis, preoccupati e ansiosi di non sfruculiare le altrui paturnie.

 

Paradosso dei paradossi, quindi, i nuovi censori pol.corr. a stelle e strisce (ma anche europei) sono sempre più identificabili con il profilo dei millennial. Ed è proprio questa la novità dirimente (e terrificante). Dal punto di vista della Oxford University Press, del prof. Gribben e delle centinaia di pessimi maestri che per anni hanno lavorato per ottenere questi risultati, la missione barbarica è quasi compiuta. Bye bye occidente. 

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