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I sibariti di Bloomsbury s'alleano con i decapitatori islamici. La libertà di espressione? “Complicata”

Giulio Meotti
Richard Charkin appena nominato presidente dell’Associazione internazionale degli editori, giustifica l’infornata di regimi arabo-islamici nell’associazione: "La libertà di una persona può essere interpretata come crimine da un’altra. Viviamo in un’epoca di complessità e ambiguità”.

Roma. La propria visione dell’editoria Richard Charkin l’ha scandita negli Emirati Arabi Uniti, a Sharjah, appena nominato presidente dell’Associazione internazionale degli editori: “Do il benvenuto all’Arabia Saudita e alla Tunisia come membri a pieno titolo e alla Giordania come nuovo membro provvisorio. Spero che ce ne saranno molti di più in futuro. I nostri statuti richiedono che i membri sostengano i due pilastri fondamentali dell’organizzazione: il diritto d’autore e la libertà di espressione. Il primo è di vitale importanza. Il secondo è altrettanto importante, ma più complicato. Diverse culture operano in modi diversi. La libertà di una persona può essere interpretata come crimine da un’altra. Viviamo in un’epoca di complessità e ambiguità e alcuni dei nostri membri credono che l’adesione all’associazione sia ingiustificata da parte di alcuni regimi. Non sono d’accordo”.

 

E’ così che Charkin, di fianco al sultano Mohammed al Qasimi, ha giustificato l’infornata di regimi arabo-islamici avvenuta da quando è a capo degli editori. Come la Giordania, dove è stato ucciso in totale impunità lo scrittore Nahed Hattar, reo di aver condiviso una vignetta anti Isis. Come la Tunisia, dove gli scrittori “blasfemi” sono messi alla gogna o minacciati. Già un anno fa i sauditi, dopo l’ingresso nell’internazionale degli editori, furono invitati come ospiti d’onore al Salone del Libro di Torino. La scelta decadde soltanto perché Riad esagerò con le decapitazioni pubbliche. Due giorni fa si è chiusa un’altra fiera del libro, a Francoforte, e i regimi islamici hanno fatto parlare di sé. I sauditi stavolta con le frustate al blogger Raif Badawi e i turchi di Erdogan con gli arresti di editori nella repressione post golpe. L’ambiguo Charkin ovviamente non ha preso misure di ritorsione. Contro la sua linea “islamofila” si sono schierati Lars Grahn, Alexis Krikorian e Ragip Zarakolu, già ai vertici del Freedom to Publish Committee, che in una lettera aperta all’internazionale degli editori hanno parlato di “tradimento” dei principi che animavano l’associazione.

 

Animavano, appunto. Perché già come direttore delle prestigiose edizioni inglesi Bloomsbury, Richard Charkin aveva mostrato non poche simpatie per il mondo arabo-islamico. Il suo progetto più ambizioso è stata la creazione della Bloomsbury Qatar Foundation assieme all’emirato islamista, ovvero come unire la sharia e l’edipica iconoclastia dei “Bloomsbuggers”  (gioco di parole con bugger, termine offensivo per gay). Per protestare contro la politica di apertura di Charkin, l’associazione norvegese degli editori (Den norske Forleggerforening) è uscita dall’internazionale degli editori con sede a Ginevra. Nonostante la strage quotidiana di scrittori ed editori in Bangladesh, Charkin non ha esitato a presenziare alla Fiera del libro di Dacca, mostrando come il dialogo predicato all’internazionale degli editori si riveli spesso una resa. Oggi sono inglesi e americani a favorire in seno all’organizzazione questa svolta di appeasement verso il mondo islamico, mentre altri paesi europei sono più resilienti.

 

Accadde già nel 1989, quando durante la fatwa contro Rushdie molti editori uscirono dai ranghi per tornare a fare affari con l’Iran. La Oxford University Press decise di partecipare alla Fiera del Libro di Teheran assieme a due case editrici americane, McGraw-Hill e John Wiley, nonostante la richiesta di Penguin, editore di Rushdie, di boicottare la fiera iraniana. Gli editori scelsero di reagire alla censura omicida sacrificando la libertà di espressione sull’altare del business as usual: la vendita di libri era più importante dei colleghi minacciati. E poi si sa, la libertà di espressione è “complicata”. A Sharjah come a Bloomsbury.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.