foto di Paola Rizzi via Flickr

La profetica battaglia di Giorgio Israel contro l'uomo ridotto a macchina

Nicoletta Tiliacos
Quante volte ci è capitato di leggere delle neuroscienze che “misurano” la tendenza al tradimento o l’inclinazione ad avere una fede? L’uomo ridotto a genoma e neuroni, ampiamente modificabili, è il sogno – l’incubo – antiumano contro cui lo storico della matematica e della scienza ha combattutto con lucidità e passione.

Quel che gli consentì di far convivere i differenti aspetti della sua attività, fu da un lato la visione storica e laica della religione, e d’altra parte il punto di vista ‘culturale’ e mai soltanto tecnico della ricerca scientifica”. Con queste parole lo storico della matematica e della scienza Giorgio Israel, a lungo firma illustre del Foglio,  rendeva omaggio a suo padre Saul, medico e scrittore. Ora che il calendario ci ricorda che da un anno Giorgio Israel ci ha lasciati (è morto a settant’anni, il 25 settembre del 2015), quelle stesse parole, soprattutto nella parte che valorizza l’esperienza scientifica come fatto culturale, ci sembrano più che mai capaci di sintetizzare anche la sua esperienza di studioso.

 

Ne troviamo testimonianza fino all’ultimo lavoro scientifico di Israel, uscito postumo per Zanichelli qualche mese fa e intitolato “Meccanicismo. Trionfo e miserie della visione meccanica del mondo”. Quella del vivente come macchina è un’idea che appena nata entrò subito in una crisi “interminabile”, come la definisce Israel. Una crisi che però assomiglia a una paradossale forma di successo. Pensiamo all’ambizione di misurare matematicamente manifestazioni della vita e dell’umano come la sfera morale, ma anche fenomeni biologici, sociali ed economici. Quante volte ci è capitato di leggere delle neuroscienze che “misurano” la tendenza al tradimento, l’inclinazione ad avere una fede, la capacità di scelta o il livello di consapevolezza di una decisione politica? E se l’uomo è una macchina, perché rinunciare a misurare anche il senso del dovere, la compassione o l’avarizia? Israel ricorda che la prima vittima di questa impostazione fuorviante è proprio la matematica, strappata al suo ruolo speculativo e costretta a misurare il non misurabile. L’uomo ridotto a genoma e neuroni, ampiamente modificabili, è il sogno – l’incubo – antiumano contro cui Israel ha combattutto con lucidità e passione. In buona compagnia, se è vero che anche Karl Popper affermava di considerare “la dottrina secondo cui gli uomini sono macchine non solo erronea, ma tendente a minare un’etica umanistica”.  

 


Giorgio Israel (screenshot tratto da un suo video su YouTube)


 

Corollario naturale di questa battaglia che per Israel è durata una vita, è stato l’impegno affinché i luoghi istituzionali di trasmissione della conoscenza, dalle elementari fino all’Università, non si riducessero, come troviamo scritto in un documento ministeriale francese di qualche tempo fa, in “un self service dove si passa per approfittare di un clima di fiducia”. E’ fin troppo facile, oltre che assai malinconico, dover constatare come i timori di Israel trovino sempre nuove conferme, così come trova conferma l’ostilità a un’idea di apprendimento matematico che non sia solo finalizzato all’applicazione pratica. “La matematica è una miscela di logica e intuizione informale”, avverte Israel, e scienza e matematica, prima di servire a formare periti chimici o geometri, costituiscono per tutti un’introduzione alla filosofia, un invito a porsi domande sul mondo, un modo per far lavorare creativamente il pensiero.

 

Anche di questo si parlerà in un incontro dedicato a Israel che si terrà alla fine di novembre a Bologna, a partire dai temi affrontati nel suo contributo al pamphlet “Abolire la scuola media?” (il Mulino), scritto con Cesare Cornoldi e uscito nel settembre 2015, pochissimi giorni prima della sua morte. A quella domanda, per inciso, a differenza dell’altro autore Israel rispondeva di no. La scuola media e la differenziazione dei tre cicli scolastici, che oggi qualcuno vorrebbe abolire per approdare a un’indistinta e paludosa palestra di “autoformazione”, hanno funzionato molto bene prima dell’affermazione di una tendenza che vede la scuola esclusivamente come luogo di formazione di forza lavoro. A essere sbagliata non è la “vecchia” scuola media ma questa idea, dice Israel, figlia di “economisti della scuola” che hanno lavorato alacremente per ridurre “le pratiche di insegnamento alla somministrazione di test e quiz”. I risultati li conosciamo.

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