Aeroporto di Fiumicino (foto LaPresse)

Cronache e pensieri di un viaggiatore prevenuto che si scontra con l'efficienza

Giuseppe De Filippi

Un passaporto e una carta d’identità smarriti e il tentativo di partire da Fiumicino, destinazione Parigi, qualificandosi con la patente. Respinto già al banco del check-in. Finchè non vedo una scritta con caratteri da pizzeria che recita “Carte d’Identità Al Volo”. “Al volo” è pura poesia ed è puro marketing. Un colpo di genio.

Un passaporto sparito inspiegabilmente, carta d’identità finita da tempo in lavatrice, e il tentativo di partire da Fiumicino, destinazione Parigi, qualificandosi con la patente. Respinto già al banco del check-in. Niente da fare, ma. Sul “ma” comincia una breve trafila che porta per una quarantina di minuti in un mondo tra Frank Capra e Harry Potter e che rivaluta, a prova di qualunque gufo o tagliatore o razionalizzatore, l’attività della burocrazia italiana o almeno di quella del litorale laziale. “Ma si può andare al posto di polizia e chiedere il documento alternativo, intanto spostiamo sul volo successivo, ma si tratta di meno di un’ora di differenza”, mi dice l’addetto Alitalia che aveva respinto il mio tentativo di passare con la patente. Comincio a sentire una inspiegabile energia positiva. Vado a cuor leggero al posto di polizia e scopro che lì non mi avrebbero dato alcun documento ma che, ragionevolmente, da loro potevo fare la denuncia di smarrimento. Già che ci sono ne denuncio due: carta d’identità e passaporto. Luogo dello smarrimento, chiede il modulo. La risposta corretta sarebbe un po’ puntuta: sapendo il luogo non ci sarebbe lo smarrimento. L’agente nota il mio (personale) smarrimento e mi suggerisce: metta imprecisato.

 

Perfetto, si può proseguire. Mi aspettavo a quel punto una specie di lasciapassare, non so, una lettera patente con ceralacca poliziesca. Invece vengo indirizzato all’ufficio del comune di Fiumicino presso l’aeroporto. E dove sta?, al Terminal 3, non può sbagliare. Intanto se scende giù si possono fare le foto, tanto l’ufficio apre alle 8. Del tutto incredulo, ma pervaso di positività vado a fare le fototessera. Inserisco una banconota da 5 euro ed eseguo il selfie d’antan quasi ridendo (scopro che fa anche venire meglio in foto) ma intimamente convinto che avrei perso tutti i voli successivi. Risalgo e mi dirigo verso il Terminal 3 in cerca dell’avamposto burocratico. Sta là in fondo, mi dicono i due o tre cui mi rivolgo, e la fanno sempre facilissima: non si può sbagliare. Invece mi sbaglio, perché avevo sottovalutato l’influsso di Frank e Harry. Credevo di dover trovare una specie di presenza esterna, visibile, distinta (temevo negativamente) rispetto all’efficienza aeroportuale. Mi aspettavo impiegati indolenti, fuga verso i cappuccini, occhi e orecchie sui telefoni, e un’insegna fredda, qualcosa che rimandasse ai servizi comunali o peggio anagrafici. Che so, “Comune di Fiumicino, Uffici Distaccati Aeroportuali”. Invece no, mi imbatto nel genio, e finalmente vedo una scritta con caratteri da pizzeria che recita “Carte d’Identità Al Volo”. “Al volo” è pura poesia ed è puro marketing, oltre a somme concisione e precisione. Il tutto nel più pieno stile locale. Lo sportello è inserito tra i normali banchi di check-in e biglietterie.

 

Dietro al banco una donna di rara efficienza. Si informa sulle generalità, controlla per mezzo della patente (cui finalmente è dato un ruolo) e si accerta dell’identità del richiedente tramite ulteriori ma sommarie testimonianze. Scarica un’anagrafica del Comune di Roma, fa mettere cinque firme, prende la forbice, taglia le foto, ne applica una, ci passa sopra una plastica trasparente, e consegna il documento. Servono però 37,5 euro di bolli vari. Non li ho e non ho il tempo di andare al bancomat. Lì interviene Frank Capra e manda un signore a incuriosirsi di questo sportello. Al signore curioso spiego che lì si fanno le carte d’identità al volo. Può essere utile, dice, e prende nota del telefono dell’ufficio. Ispirato gli piazzo la stoccata (come diceva Wodehouse): avrebbe 37,5 euro da prestarmi? Li restituisco appena torno. E mi metto di fronte ben visibile, buttando lì (come garanzia ulteriore) che mi avrà visto in tv. Stringe gli occhi e fa: mai visto, ma conosco molti giornalisti, sa facevo il pilota e ho portato tante volte Mentana tra Roma e Verona durante il sequestro Dozier e tanti inviati Rai in zone di guerra. Comunque eccole 50 euro e il mio biglietto, così quando torna a Roma mi trova. Grazie! Prego. Corro verso il Terminal 1, c’è poca fila ai controlli o forse la mia magica carta d’identità fa sparire i problemi, salgo in tempo al millimetro. Mi siedo, metto la cintura e penso a Cottarelli. Sì, penso che se qualche tagliatore o giornalista/scrittore antisprechi si imbattesse nell’ufficio carte d’identità al volo, certamente avrebbe da ridire. Perché il comune deve spendere i soldi dei cittadini, di tutti noi, e tenere una persona bloccata per colpa di quattro rimbambiti che si scordano i documenti? Già, perché? Come rispondere? Metti “imprecisato”, mi dicono, prima del commiato, Frank e Harry.

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