Justin Trudeau accoglie i migranti siriani all'aeroporto di Toronto

La nemesi di Barney Panofsky

Giulio Meotti
Il premier canadese Trudeau l’ha data vinta all’Isis, chiesto le scuse del Papa, vestito i migranti all’aeroporto e pianto con gli eschimesi.  I parenti dei canadesi uccisi in Burkina Faso gli hanno attaccato in faccia

Roma. Quale posto migliore del Forum di Davos per porgere “la nuova immagine del Canada” alla gente che piace e che conta? Come George Soros, che ieri si è affrettato a eleggere suo beniamino proprio Justin Trudeau. Il compassionevole premier canadese, in carica dallo scorso novembre, si è fatto riprendere in compagnia di un giamaicano che faceva l’elogio delle rinnovabili ai Carabi e di una donna palestinese che gli raccontava la sua sofferenza a Gaza.

 

Da quando è stato eletto, “baby face” Trudeau, “il politico più sexy del mondo”, ha eccelso in photo opportunity e in lacrime politiche. Si è trasformato nella nemesi di Barney Panofsky. C’è la foto di Trudeau che riceve, fra “ahlan wa sahlan” (benvenuti in arabo) e selfie, la prima comitiva di migranti siriani all’aeroporto di Toronto, allungando loro, oltre agli abbracci, anche cappotti e vestiti pesanti per far fronte all’inverno canadese. C’è quella in cui si è fatto ritrarre su una sedia a rotelle, in segno di solidarietà con i disabili. C’è quella in cui, per espiare il senso di colpa, è vestito con una tunica degli indiani nativi e balla una canzone punjabi. C’è quella in cui compare in una sorta di natività gay al fianco di un parlamentare del suo partito, il compagno e le due figlie fabbricate con l’utero in affitto.

 

Ma alla prima prova di vera leadership, la strage in Burkina Faso e l’uccisione di sei civili canadesi, il sorrisone di Trudeau si è un po’ intristito. Yves Richard, che ha perso la moglie Maude nella strage islamista, ha attaccato in faccia il telefono al premier canadese, che aveva aspettato tre giorni prima di porgere le sue condoglianze. La madre di Maude ha invece detto a Trudeau che se vuole onorare la figlia assassinata deve abbandonare il progetto di disimpegno dalla guerra allo Stato islamico.

 

Da quando è stato eletto, Trudeau ha impresso una svolta iper-multiculti al suo paese già famoso per esperimenti del genere. Il giorno dopo la mattanza di canadesi in Burkina Faso, dove erano andati a costruire scuole e ospedali, Trudeau si è recato in visita in una moschea a Peterborough. E quando ha preso la parola sul podio, Trudeau non è corso a condannare l’attacco terroristico, ma l’incendio doloso in una moschea canadese. “Non ho incontrato un solo canadese che non fosse così profondamente turbato come ero io a vedere questo tipo di crimine”, ha detto Trudeau, che ha definito l’attacco alla moschea “un gesto di odio e razzismo”. Parole più forti di quelle che Trudeau ha usato per condannare la strage in Burkina Faso. “Il primo ministro ha trasformato i fatti del Burkina Faso in una nota in calce al suo pellegrinaggio alla moschea”, ha commentato il Toronto Sun.

 

A complicare le cose, il fatto che l’imam di Peterborough non sembrava voler aderire con entusiasmo all’agenda antisessista del nuovo primo ministro. In un video su YouTube, dal titolo “Matrimonio: sei pronto?”, Shazim Khan, l’attuale imam della moschea di Peterborough, spiega che è “un peccato grave” per una moglie non avere rapporti sessuali “ogni volta che il marito vuole” (vallo a dire alle femministe che hanno votato Trudeau). “Il primo ministro sembra così accecato dalla correttezza politica da voler apparire tollerante agli occhi dell’intollerante”, commenta il Sun.

 

E’ il paradosso di un premier liberal che, da quando è stato eletto, ha difeso il diritto delle donne canadesi a indossare l’hijab (il velo islamico), ma ha anche elogiato il “primo corso di ateismo a scuola”, un record che il Canada detiene fra i paesi occidentali, e metà dei suoi ministri ha scelto di non pronunciare le parole di rito “So Help Me God” durante il giuramento.

 

Il primo gesto politico da primo ministro di “baby face Trudeau” è stato il ritiro dei sei caccia bombardieri canadesi impegnati, si fa per dire, nella guerra all’Isis. Questo nonostante il Canada sia, proporzionalmente alla sua popolazione, il paese da cui sono partiti più volontari per il Califfato. D’altronde il terrorismo non è stata la priorità di Trudeau in questi tre mesi, quanto la “parità di genere”, il surriscaldamento globale e l’ingiustizia commessa, secoli fa, contro gli eschimesi e i nativi. E il premier ha già fatto capire che per Israele, che aveva nel Canada un grande alleato, la musica è cambiata. Il consigliere della politica estera di Trudeau, Roland Paris, è un teorico del multilateralismo isolazionista (il Canada non è stato neppure invitato alla conferenza di Parigi per la lotta allo Stato islamico).

 

Tra la macchietta e l’orwelliano

 

[**Video_box_2**]Lo stesso governo Trudeau è una cartolina visiva del politicamente corretto: metà dei ministri sono donne (“siamo nel 2015!”, ha scandito Trudeau alla presentazione dell’esecutivo), ci sono due aborigeni e tre membri della minoranza sikh, compreso un disabile e una rifugiata afghana. Lo stesso ministero dell’Immigrazione Trudeau lo ha cambiato in “ministero per i Rifugiati”. Il primo ministro ha chiesto le scuse di Papa Francesco “per il ruolo che la chiesa cattolica ha giocato negli abusi fisici e sessuali dei bambini che hanno frequentato una delle scuole native gestite dalla chiesa”. Per questo, Trudeau ha promosso una orwelliana “Commissione per la verità e la riconciliazione”. L’ex primo ministro Stephen Harper aveva incontrato Papa Francesco in Vaticano la scorsa primavera, ma la questione delle scuse non era stata mai sollevata. Il liberal Trudeau ora vuole le lacrime di Bergoglio e ha promesso che il Canada tornerà a finanziare l’aborto nei paesi del Terzo Mondo.

 

Una politica dell’“inclusione” che Trudeau ha applicato anche ai migranti: porte aperte per i maschi omosessuali siriani, ma non agli eterosessuali. Quelli hanno maggiori “tendenze Isis”. Almeno nel magico mondo di Justin Trudeau che, secondo il perfido Ezra Levant, l’irregolare del giornalismo canadese, “non sa distinguere l’Hummus da Hamas”.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.