Se DiCaprio vince l'Oscar questa volta, l'Academy non ha capito nulla

Mariarosa Mancuso
E’ antipatico dire “a queste condizioni l’Oscar per Leonardo DiCaprio non lo vogliamo più”. Ma è esattamente così: se un attore per essere preso sul serio dopo anni di brillante carriera deve farsi massacrare da un’orsa non vale più la pena di stare al gioco.

E’ antipatico dire “a queste condizioni l’Oscar per Leonardo DiCaprio non lo vogliamo più”. Ma è esattamente così: se un attore per essere preso sul serio dopo anni di brillante carriera deve farsi massacrare da un’orsa – per inciso, l’unica femmina del film a parte un’indianina di scarsissimo interesse – non vale più la pena di stare al gioco. Non lo ha vinto per “The Departed”, non lo ha vinto per “Il Grande Gatsby”, non lo ha vinto per “The Wolf of Wall Street” né per “Django Unchained”. Vincere la statuetta per “Revenant - Redivivo” sarebbe una beffa: la dimostrazione che i giurati dell’Academy si sono fatti sviare finora dalla sua bellezza. Si sa che i fascinosi devono nascondersi sotto chili di trucco, per farsi prendere sul serio. Quando poi accettano di lavorare a 40 gradi sotto zero e divorano fegato crudo di bisonte mettono una seria ipoteca sulla statuetta.

 

Il cinema è finzione, non esiste spettatore in grado di distinguere un vero fegato crudo di bisonte da un falso fegato crudo di bisonte. Sono capricci di regista, che con la recitazione e la bravura di un attore non c’entrano un accidente. Stupisce che Alejandro González Iñárritu – così bravo in “Birdman” a smascherare i vezzi degli attori e dei registi oltre alle sciocchezze continuamente ripetute in tema di realismo – con “Revenant” li cavalchi uno per uno. E già che siamo in tema, smettiamola con la retorica “solo luce naturale”: in certe condizioni, nelle remote lande canadesi, illuminare un set è molto più complicato che lasciar fare alla natura.

 

Rinunciamo all’Oscar per Leonardo DiCaprio, il lutto lo avevamo già elaborato eleborato. Rinunciamo molto più volentieri al minacciato secondo Oscar consecutivo per il regista messicano: si era appena levato di dosso la cupaggine di “Amores Perros”, “21 grammi”, “Babel” e già fa marcia indietro, ripiegando su una storia di sopravvivenza e vendetta. In tutto, “Revenant” ha 12 nomination. 10 ne ha messe insieme invece “Mad Max: Fury Road” di George Miller: un miracolo che l’Academy si sia accorta di tanta bellezza. E di tanta modernità, mentre il cacciatore di pellicce dato per morto e abbandonato sta nella categoria “film come non se ne girano più”. Vorrebbe essere un complimento, nelle intenzioni. Sa di nostalgia, e non è neppure del tutto vero: nei film come si facevano una volta l’orsa dava un paio di zampate e via, mica c’era bisogno di assistere a un attacco zoologicamente corretto. 

 

In “Mad Max: Fury Road”, diretto da un settantenne, tutto è finto, tutto è esagerato, tutto è ritoccato in post-produzione, tutto ha il ritmo artificiale e meraviglioso del cinema. Ci sono le catapulte e i rockettari al seguito dei guerrieri. C’è un eroe che appare come donatore di sangue, per i potenti che a furia di accoppiarsi tra loro sono mostriciattoli. C’è un’eroina senza un braccio, che ha i suoi piani e nei momenti di calma aiuta l’eroe (anche prima di “Star Wars – Il risveglio della forza” andava la fanciulla combattiva). Si chiama Charlize Theron, naturalmente non compare tra le attrici candidate, trattandosi di film d’azione e divertimento, non di denuncia: il suo Oscar lo ebbe per “Monster”, quindici chili di ingrasso, denti orrendi, capelli color topo per somigliare alla serial killer Aileen Vuornos.

 

[**Video_box_2**]“Carol” di Todd Haynes non ce l’ha fatta, a entrare tra i film candidati. Ci sono invece le attrici, Cate Blanchett protagonista e Rooney Mara come non protagonista. Si fa così per avere più possibilità di vittoria, e non è vero che succede solo con le donne, era già capitato con Heath Ledger e Jake Gyllenhaal in “Ritorno a Brokeback Mountain”. Puntuale è arrivata la polemica, non ci sono tra i candidati abbastanza neri (totalmente ignorato “Beast of no Nation” di Cary Fukunaga, prodotto da Netflix). I votanti si sono distratti anche in materia di sceneggiatura: solo così spieghiamo l’esclusione dalle candidature di Aaron Sorkin per “Steve Jobs” (candidato invece l’attore Michael Fassbender) e di Quentin Tarantino per “The Hateful Eights”.