La distopia del politically correct

Edoardo Rialti
Quando avevo quattordici anni, mio padre mi sembrava così stupido che a malapena riuscivo a sopportarlo. Ma a 21 anni, mi ritrovai pieno di stupore per i progressi che aveva fatto”. Sembriamo sempre più incapaci di imitare Mark Twain, nel rapporto col nostro passato, personale o collettivo.

Quando avevo quattordici anni, mio padre mi sembrava così stupido che a malapena riuscivo a sopportarlo. Ma a 21 anni, mi ritrovai pieno di stupore per i progressi che aveva fatto”. Sembriamo sempre più incapaci di imitare Mark Twain, nel rapporto col nostro passato, personale o collettivo. Sembra così facile scivolare in una ingenerosità critica, incapace di mantenere la gratitudine pur sollevando tutte le obiezioni e le distanze della maturità. Una delle più prestigiose onorificenze della letteratura fantastica, il World Fantasy Award, è rappresentata da una statuetta che raffigura il “Poe cosmico”, Howard Phillips Lovecraft, che con i suoi orrori sui Grandi Antichi, le magioni infestate del New England e le città da sogno come Kadath, ha determinato il corso di gran parte dell’immaginario contemporaneo, dal Robert Bloch di “Psycho” a George R. R. Martin, da Stephen King che lo cita e omaggia a ogni piè sospinto a Ridley Scott e persino a Michel Houellebecq. Eppure, siamo passati da chi protestava negli anni 80, quando sembrava che la statuetta stessa parodiasse il padre nobile Lovecraft, alla recente decisione di non premiare più con il busto del solitario scrittore di Providence. Perché adesso, Lovecraft, è accusato di razzismo. Più precisamente: “Un uomo che ha usato la letteratura come fosse un’arma contro un’intera razza”.

 

Il biografo di Lovecraft, Sunand Joshi, che di Fantasy Award ne ha ricevuti ben due, ha definito la decisione “una vigliaccata prona alla peggior risma del politicamente corretto”. Dialogando con il Foglio, gli fa eco dall’Italia Sergio Altieri, romanziere e traduttore di Lovecraft, che per Feltrinelli pubblicherà presto l’antologia “Il profeta dell’incubo”: “Balle raccontate per restare al calduccio in un mondo dominato dalla violenza e dalla guerra. Ci siamo mangiati il concetto di tempo storico. E’ ovvio che ciò che veniva detto nel 1915 non va più bene oggi”.

 

[**Video_box_2**]Continua Altieri: “Tra cinquant’anni cosa faranno, accuseranno George R. R. Martin per Tyrion il nano? Quando sento l’espressione ‘politically’ correct mi viene in mente una delle migliori definizioni della politica: la continuazione del crimine con altri mezzi”. Certo che Lovecraft aveva pregiudizi sociali, culturali e razziali. Difficile aspettarsi altro da chi affermava che “spiritualmente, mi sembra di vivere nel 1715, non nel 1915. Il mio problema è che sono nato con duecento anni di ritardo”. Per rigorosi parametri moderni era un antidemocratico (“la democrazia nasce dalla deificazione del concetto astratto di giustizia, e dalla volgare, moderna devozione alla quantità in opposizione alla qualità”) e forse un relativista etico (“nutro un profondo disgusto per quegli atti immorali e irrispettosi della legge che contravvengono alle tradizioni e ai costumi di quella serena convivenza sviluppata dalla civiltà. Tuttavia non stiamo più parlando di etica, ma di estetica”). Tuttavia occorre molta miopia per non intuire che alla base delle sue posizioni più provocatorie soggiace lo stesso raggelante orizzonte esistenziale che ha dato forza e vita alle sue più potenti intuizioni narrative: “Questa nostra razza non è che un banale incidente nella storia dell’universo. Negli annali dell’eternità e dell’infinito non ha più importanza del pupazzo di neve di un bambino nella storia dei popoli e delle nazioni di questo pianeta”. Qui non ci sono né neri né teutoni, siamo tutti sulla stessa barchetta alla deriva nel buio. Ma anche davanti ad altri suoi pronunciamenti viene da alzare la mano e dire ai detrattori: e allora? Possibile che non si possa prendere le distanze da ciò che non si condivide, senza per questo smettere di riconoscere un debito, magari immenso? Smetteremo di leggere Leopardi perché dice che nelle “anguste fronti” delle donne non entrano i concetti astratti, o Wilde che difendeva i bambini carcerati ma che scherzava sui neri (“ho un servo negro, che è il mio schiavo: in un paese libero non si può vivere senza uno schiavo”)?
Si tratta del World Fantasy Award. E il “mondo del fantasy” Lovecraft l’ha cambiato eccome. Possibile che non si possa essere figli critici? Come ammoniva Christopher Hitchens, “questa tendenza” censoria “è stata fatta oggetto di satira: il gruppo sovrappeso della fazione lesbica dei transessuali cherokee disabili chiede di essere ascoltato sui propri bisogni. Ma mai abbastanza. Da modo di essere radicali diventò in breve tempo un modo di essere reazionari”.

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