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Notiziola: è morto l'uomo occidentale

Giuliano Ferrara
Notiziola. L’uomo occidentale rischia di scomparire, con tutto il carico del suo miglior talento. Forse è già scomparso, e di questo tramonto, guardato con impassibilità, senza tenerezze romantiche, sono responsabili la politica, la cultura, il diritto e anche per la sua parte la chiesa modernista.

Notiziola. L’uomo occidentale rischia di scomparire, con tutto il carico del suo miglior talento. Forse è già scomparso, e di questo tramonto, guardato con impassibilità, senza tenerezze romantiche, sono responsabili la politica, la cultura, il diritto e anche per la sua parte la chiesa modernista del Vaticano II (Paolo Prodi, portatore della notiziola, non userebbe mai il termine “modernista” come un’accusa, non è un polemista abborracciato come me, è una persona seria). La notizia comunque c’è, anche nel caso non ve ne importi poi tanto, ed è contenuta in un gran libro, l’ultimo da lui pubblicato, che si intitola Homo europaeus (il Mulino, Bologna). Vedete comunque di interessarvene, per favore, perché l’uomo occidentale siete voi, che state leggendo un giornale in una democrazia liberale postmoderna, nel XXI secolo. E’ del vostro e del nostro funerale che si sta parlando (scongiuri).

 

Ve lo dico da sempre: i Prodi sono una famiglia formidabile. Su e con Romano abbiamo spesso litigato, ma ce ne fossero. E comunque c’è un astrofisico come Franco, che studia le nuvole e la grandine, che suona la viola alla grande, che dimostra con il suo lavoro, quanto meno, come sia il Sole, piuttosto che la mano dell’uomo, a plasmare le correnti di energia capaci di determinare il clima. La semplicità politicamente scorretta: questa la sua specializzazione eminente di “professore tra le nuvole”.

 

Ma ora parliamo di Paolo, Paolo Prodi. Ne avete già letto anche nel Foglio, interviste, interpretazioni, ritratti eccetera (curati benissimo da Marco Burini e Maurizio Crippa). Paolo è uno storico. Di quelli molto capaci, che hanno umiltà accademica, potenza di ricercatori ostinati, esperienza e genio. E’ di livello europeo, come si dice tra noi provinciali: Jacques Le Goff, il compianto storico francese di grande scuola, una volta lo attaccò sulla questione del denaro nella storia della chiesa e della cristianità, e lui contrattaccò. La bibliografia internazionale sulla storia del moderno e della giustizia non può fare a meno dei suoi titoli. Fa sempre il suo lavoro con ordine, pulizia mentale, penetrazione dei problemi e notevole eloquenza, anche nei tecnicismi di uno storico serio. Paolo si occupa di storia del moderno, del mondo moderno, e della chiesa in relazione all’evoluzione del potere politico, dello stato o, come vedremo tra poco, di quel che resta dello stato. Mentre suo cognato Giuseppe Alberigo coltivava a Bologna la sua storiografia del Vaticano II, insigne non meno che controversa, Paolo Prodi se ne andò a Trento per molti anni, ed è divenuto uno che sa tutto del Concilio di Trento, seconda metà del Cinquecento, epoca di Riforma protestante e di Riforma cattolica, incubazione di tutte le principali curve e svolte dell’epoca moderna, in senso religioso e politico, passando per il tema dell’etica, della libertà di coscienza, della morale. Paolo ha superato di qualcosa gli ottanta anni, è lucido come uno scienziato in carriera non lo è da giovane, e dice cose enormi, che non devono passare sotto silenzio per nessun motivo.

 

La prima cosa che dice nel suo ultimo lavoro appena citato è che la faccenda delle radici giudaico-cristiane dell’Europa (san Giovanni Paolo II) non lo ha mai convinto. La storia è movimento nel tempo, le radici si muovono, ciò che abbiamo in comune non è necessariamente un patrimonio radicato. Non lo ha mai convinto nemmeno lo schema ratzingeriano di un mondo secolare che dovrebbe vivere come se Dio ci fosse (veluti si Deus daretur). La dialettica di fede e ragione non gli è estranea, certo, ma non è lì per lui il punto. L’affievolimento o la scomparsa del sacro certo è un problema, dice, ma il dramma vero è che tutte le coordinate dell’uomo occidentale, il sacro e il politico, sono state scardinate.

 

E allora? Ecco, Prodi (per semplificare) sostiene intanto che il diritto canonico è morto con Trento come diritto pubblico o sociale, divenendo solo un diritto ecclesiastico. Ovvio, la secolarizzazione, anche come conseguenza della Riforma protestante, ha tolto progressivamente di mezzo la pretesa temporalista e totalizzante della chiesa, l’influenza diretta del sacro nella politica e nel sistema di giustizia. E’ dunque nata o si è irrobustita la distinzione tra peccato e reato, cardine della laicità. Ma poi, e siamo all’oggi, al contemporaneo, si è esaurito, con il dualismo svanito tra potere sacro e potere profano, anche il diritto inteso come stato di diritto su base nazionale e universalistica (compresi ovviamente i diritti umani che la chiesa ha cercato di riscoprire e ricomprendere, dopo la lunga battaglia di arresto dei Papi dell’Ottocento, nel Concilio Vaticano II). Non c’è più stato di diritto, a parte i rimasugli della vecchia idea di laicità, perché non c’è più nemmeno lo stato, lo stato nazione. Per dirla con Groucho, il sacro è morto, lo stato nazionale è morto, e anche il contemporaneo non si sente tanto bene.

 

[**Video_box_2**]Nella seconda metà del Novecento, quindi, scompare il “pluralismo degli ordinamenti” che era il “codice genetico” dell’uomo occidentale, evapora la distinzione tra il foro interno della coscienza e il foro esterno della legge scritta, comincia a dominare la “norma positiva a una dimensione”. Onnipotente e pervasivo, il diritto a una dimensione si prende tutto lo spazio privato e pubblico: se vogliamo lasciar perdere l’aborto, sancito per sentenza in nome della privacy dalla famosa sentenza Roe vs. Wade del 1973, vediamo la cronaca quotidiana recentissima e osserveremo che si moltiplicano le azioni giudiziarie “a tutela dei figli minorati o handicappati contro i genitori che li hanno messi al mondo senza adeguate precauzioni”. Tutto, eutanasia, aborto, manipolazioni genetiche, perfino la difesa dell’ambiente, tutto è sottomesso alla norma positiva a una dimensione. Quella norma dominatrice è incapace di risolvere il classico problema della giustizia, la libertà e responsabilità della coscienza “si svuota di una sua responsabile sede di giudizio”. E per Prodi “la conseguenza è che l’uomo occidentale come lo conosciamo adesso, responsabile delle sue azioni, delle scelte tra il bene e il male, può scomparire”. La norma dètta legge, dalla nascita alla morte, nei territori “che tradizionalmente appartenevano soltanto alla morale e al giudizio sul peccato”.

 

Secondo lo storico della modernità e della postmodernità nel mondo cristiano (e occidentale) si scava di fronte a noi un abisso, un dramma, ed “è la stessa civiltà liberale a soccombere”. Prima l’uomo euroccidentale si definiva in base alla relazione tra il suo mondo etico interiore, e di fede, e un mondo esterno di regole positive, scritte, che regolava il rapporto tra peccato e reato. Ora non più: la norma a una dimensione invade tutto il campo, ci educa nei nostri affetti, stabilisce per noi il discrimine tra bene e male, indebolisce “il respiro che, con tutte le sue contraddizioni, ha prodotto la nostra società e le ha dato il soffio della vita”, mettendo in discussione la nostra sopravvivenza come uomini occidentali.

 

La chiesa stessa è parte dello svuotamento. Il Vaticano II ha rimosso il foro della penitenza, della coscienza come “giudizio divino sul peccato” distinto dal giudizio delle leggi e dei tribunali, e volendo interiorizzare il sacramento della riconciliazione ha inseguito, per il giudizio, il reato al posto del peccato. Oggi la chiesa stessa cerca di trasformare ogni peccato in reato, cerca di affidare alla giurisdizione pervasiva della norma a una dimensione la dialettica tra libertà, responsabilità e scelta etica tra bene e male. Insomma, non c’è bisogno di essere campioni di precettistica e di teologia morale dottrinaria, non c’è bisogno di sostenere l’esistenza di princìpi non negoziabili di distinzione tra bene e male, per capire, come ha capito e raccontato Paolo Prodi, che è necessaria “una riaffermazione della centralità del problema del peccato, del pentimento e della grazia come giudizio e terreno proprio della chiesa”. Chi sono io per giudicare?, è domanda evangelica. Ma una chiesa che non giudica è per ciò stesso sottomessa alla norma unica e alla sua dittatura ideologica politicamente corretta.

 

La notiziola della morte dell’uomo occidentale non sembra prematura, a quanto pare. Il cristianesimo, anche inteso come vangelo sine glossa, nasce e si annuncia e si diffonde, attraverso la sua o le sue chiese, come elemento di contraddizione rispetto alla legge del mondo. Se questa contraddizione viene meno si entra nel reame, non così soave e misericordioso, dell’irrilevanza. Un mondo in cui arriva al dunque delle dimissioni di un Papa la confusa campagna sulla pedofilia del clero; in cui la norma positiva a una dimensione fissa come reato o come autorizzazione i tuoi comportamenti e i tuoi affetti nella procreazione; in cui le sentenze distruggono una legge ratificata da un referendum popolare, come quello sulla legge 40: in un mondo così si omologa nel diritto positivo ideologicamente dispiegato, che non appartiene più alla sovranità di uno stato democraticamente controllata, anche il senso del peccato e il sacramento della penitenza o della riconciliazione. L’attivismo giuridico diventa la nuova unzione del mondo globale, e le corti supreme o altre corti diventano tribunali inquisitori capaci del monopolio sulle coscienze. Al Sinodo si parla molto di un sacramento, l’eucaristia matrimoniale, e si discute se e come salvarlo. Tengano conto i padri sinodali del fatto che se le norme sono state concetti teologici secolarizzati, come insegnava il giurista Carl Schmitt, i sacramenti sono testimonianza e viatico di una giustizia divina senza la quale il mondo occidentale, la cui libertà e coscienza morale sono vissute del dualismo tra peccato e reato, diventa un “immenso ammasso di norme”, un mercato povero fatto di regole prodotte a mezzo di regole. Il destino dei sacramenti è di un certo interesse anche per noi laici. Così almeno la pensa, secondo la mia lettura, uno storico di valore e di sicura indipendenza ideologica come Prodi. Paolo, dico.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.