Elogio della spesa fatta alle 3 del mattino (alla faccia della Luna)

Simonetta Sciandivasci
Il centro commerciale come luogo delle libertà. Ai proletari urbani 2.0, andare al supermercato di notte viene comodo, tanto nelle grandi città alienate, quanto in quelle piccole dove i pomodori sanno di pomodori e nutrirsi di autenticità risulta addirittura gustoso.

Roma. I sindacati parlano l’esperanto confederativo dell’Internazionale 2.0 dei lavoratori. Non essendo ancora stato aggiornato il Google Translate (fermo all’esperanto classico), la traduzione delle ragioni per cui, da diverse settimane, Cgil, Cisl e Uil stanno battagliando contro l’apertura notturna del Carrefour di Massa (che, intanto, ha aperto), è impraticabile. Tuttavia, qualche lezione di sociologia della comunicazione post 1864 l’hanno assimilata persino loro, tanto da aver organizzato, il primo luglio scorso, un flashmob di protesta durante il quale hanno sostenuto che “le notti d’estate lasciamole per giocare e divertirsi, passeggiare con i propri figli, guardare la luna e le stelle, amarsi e dormire”.

 

“Svegliatevi, poeti, spegnete la tv, vi hanno abbastanza offesi, nessuno qui vi crede più”: ci sono voluti anni, ma la canzone di Renato Zero ha finalmente sortito il suo effetto e ora lo spettro di Coleridge ha preso ad aggirarsi tra Cgil, Cisl e Uil. Perché, a parte Serge Latouche – teorico della decrescita felice, la peggiore filosofia degli ultimi 25 anni – solo i poeti morti prima del 1901 possono davvero credere non solo che guardare la luna e giocare siano attività preponderanti del modus vivendi dell’Homo sapiens sapiens, ma persino che andare a fare la spesa alle 3 del mattino ne ostacoli l’espletamento. Se non dovesse essere colpa dello spettro di Coleridge, cioè se quel sonetto sui veri valori della vita in estate dovesse essere farina del sacco sindacalista, verrebbe da segnalare che per chi resta in città, con Flegetonte che spinge il termometro verso i 40 gradi, senza il lusso di un condizionatore, fare l’amore è una materia che si rimanda a settembre (non è un caso che le canzoni estive parlino di innamoramenti che si accendono e consumano sempre a pochi metri dalla battigia). Meglio dare la colpa a Coleridge, allora, piuttosto che immaginare sindacalisti tanto immersi nel lusso da aver perso il contatto con i proletari della strada.

 

Categoria, quest’ultima, che è oggi ampiamente e concretamente trasversale e pullula di imprenditori, professori e una serie di insospettabili professionisti, i quali per un’ora d’amore estivo sono disposti al massimo a un paio di clic su Tinder e Happn – applicazioni capitaliste per incontri virtuali – e che, soprattutto, si identificano molto di più nel protagonista di “Mamma ho perso l’aereo”, che nel “Viandante sul mare di nebbia”.

 

A questi proletari urbani 2.0, andare al supermercato di notte viene comodo, tanto nelle grandi città alienate, quanto in quelle piccole dove i pomodori sanno di pomodori e nutrirsi di autenticità risulta addirittura gustoso (Carrefour aperti di notte ce ne sono a Roma, Milano, Palermo, Sanremo, Torino, Salerno, Napoli). La società – rassegniamoci – per quanto liquida sia, non è in declino: ha solo necessità diverse, tra cui primeggia quella di poter disporre di servizi (traporti e spesa in cima) a tutte le ore. Il mondo è ben lungi dal diventare New York, ma è molto vicino al non dormire mai: la ricezione del cambio di abitudini che questo comporta ha dato asilo a diversi stili di vita nei paesi che invidiamo e amiamo definire “civili” – solitamente, per deplorare l’inciviltà del nostro.

 

[**Video_box_2**]“Il centro commerciale è fin dalla sua nascita il luogo dove si sperimentano le prime forme di libertà”, scriveva Massimo Ilardi sulla rivista Outlet, in antitesi alle teorie di Marc Augè, convinto che i supermercati siano ostili all’intersoggettività. Ilardi coglieva il punto dell’entusiasmo con cui tutti i proletari urbani 2.0 italiani (e non solo) stanno accogliendo i supermercati notturni: potersi coccolare con beni di consumo, vagolare tra corsie zeppe di tutto quello di cui si ha e non si ha bisogno, farsi venire voglia di Kinder fetta al latte alle 3 del mattino e scendere sotto casa in pigiama per soddisfarla, sentendosi metropolitani, internazionali, misteriosi, hollywoodiani. Dopotutto, in qualcosa bisognerà pur affogare la frustrazione per aver levato, per anni, gli occhi al firmamento, domandato “che fai tu luna in ciel” e non aver ricevuto mai risposta.
Simonetta Sciandivasci

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