Una scena di Youth di Paolo Sorrentino

A Cannes i rifugiati dello Sri Lanka e le arti marziali senza azione

Mariarosa Mancuso
Chi ha doppiato Caine e Keitel in Youth merita castighi orrendi. Facciamo nostro un tweet dei Cahiers du Cinéma: “Sorrentino sta al cinema come Rondò Veneziano sta alla musica”. I giudizi su Love, The Assasins, Mountains may depart, Dheepan, Maasan.

YOUTH - LA GIOVINEZZA di Paolo Sorrentino, con Michael Caine (concorso)

All’albergo post Grande Bellezza in Engadina, preferiamo senz’altro il Grand Budapest Hotel di Wes Anderson. Elegante per davvero (vuol dire: senza gli asciugamani sistemati sul letto a forma di cigno). Ben frequentato (non da sosia di Maradona e da Miss Universo che fa il bagno nuda). Intelligente quando accenna alle cose serie (“abbiamo solo le nostre emozioni” va bene per un manuale di auto-aiuto, citare le poesie di Novalis non risolleva il livello). Per fortuna arrivano Michael Caine e Harvey Keitel, doppiati nelle copie uscite in sala: un delitto che merita castighi orrendi. Facciamo nostro un tweet dei Cahiers du Cinéma: “Sorrentino sta al cinema come Rondò Veneziano sta alla musica”.

 

LOVE di Gaspar Noé, con Karl Glusman (fuori concorso)

Solito copione. In coda mezz’ora prima perché era annunciato come lo scandalo del festival: pornografico e pure da vedersi con gli occhialini per il 3D. Dopo mezz’ora di noia profonda – trovate di meglio smanettando sul computer – un solo pensiero: come si fa ad andarsene senza sembrare bacchettoni o scandalizzati? Viene in aiuto il protagonista monologante, che rimpiange una brunetta: lei lo aveva lasciato dopo le corna con una biondina, che subito resta incinta. Come tutti i registi alla loro prima volta in 3D, Noé cerca (e trova) qualcosa da scagliare contro lo spettatore. Suggerimento: può servire anche come gel per i capelli.  

 

THE ASSASSIN di Hou Hsiao-Hsien, con Shu Qi (concorso)
Per essere un film di arti marziali, i combattimenti sono pochi e le coreografie misere (non bastasse, il rumorista sa fare un rumore solo, sempre lo stesso qualsiasi sia il contatto o l’arma). “Geologically slow”, scrive il critico di Indiewire (a cui il film è piaciuto moltissimo): la velocità con cui i ghiacciai si formano. Quanto alla trama, è sempre il suddetto fan a suggerire che bisogna unire i puntini, ammettendo però che i puntini sono dannatamente lontani. Immagine in formato quadrato – sta diventando una mania – con prologo in bianco e nero. Siamo nella Cina del Nono secolo, e con i colori arriva la mania di far svolazzare i tendaggi davanti all’obiettivo.

 

MOUNTAINS MAY DEPART di Jia Zhang-Ke, con Zhao Tao (concorso)
Altro cinese – li mettono vicini per maggiore sofferenza. Con una storia da raccontare più interessante di “Still Life”, film che fece vincere al regista un Leone d’oro. Ai tempi delle prime discoteche (musica: “Go West” dei Pet Shop Boys), una ragazza ha un corteggiatore ricco e uno che fa l’operaio. Sposa il primo, nasce un figlio chiamato Dollar. Si capisce che non può durare, lei ai soldi preferisce i ravioli casalinghi. Miniera oggi, miniera domani, l’ex corteggiatore povero si ammala. Parte come un bel melodramma, poi si perde per la smania di arrivare al 2025, quando i giovani cinesi emigrati in Australia riscoprono le loro radici.

 

[**Video_box_2**]DHEEPAN di Jacques Audiard, con Vincent Rottiers (concorso)
Scappano dallo Sri Lanka fingendo di essere una famiglia, arrivano a Parigi da rifugiati. L’uomo trova lavoro come portinaio, la donna come badante, la ragazzina va a scuola. Ma siamo nella banlieue, zona di guerra tra bande, e la tigre tamil trova una buona occasione per combattere di nuovo. Jacques Audiard, regista e sceneggiatore francesissimo e bravo nei dialoghi, butta un occhio sugli immigrati. Che passano dal mutismo (non sanno la lingua, ma qui si esagera, non parlano mai neanche tra loro) a dotte disquisizioni sull’umorismo francese e tamil. Sotto sotto, ci sono le “Lettere persiane” di Montesquieu: la vita parigina osservata da due perplessi (quanto finti) ambasciatori arrivati dalla Persia.

 

MASAAN di Neeraj Ghaywan, con Richa Chadda (Un certain regard)
Per la serie: cose che potevamo anche non sapere. La cremazione, al ghat di Varanasi, ormai non ha più segreti, trattamento del cranio compreso. Fa da sfondo a un paio di storie che intrecciano corruzione e puritanesimo indù, intoccabili e signorine di casta superiore, orfanelli che ripescano monetine e studenti di informatica.
Mariarosa Mancuso

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