Dove sono finiti gli scrittori? Sono (quasi) tutti in una “comfort zone”

Annalena Benini
Il silenzio colpevole su quel che resta di Charlie Hebdo: “La nostra preoccupazione è che, assegnando a Charlie Hebdo il Toni e James C. Goodale Award per la libertà di espressione, il Pen non stia semplicemente manifestando sostegno alla libertà di espressione, ma stia anche dando valore a del materiale discriminatorio e offensivo".

Mentre di nuovo aumenta il vuoto imbarazzato attorno a Charlie Hebdo, e aumentano gli scrittori che per protesta non parteciperanno alla consegna del premio letterario per la libertà d’espressione del Pen Club di New York (gli scrittori contrari in principio erano sei, poi sono diventati ventinove, poi cento, infine duecentoquattro, e tra loro spiccano molti nomi importanti: Joyce Carol Oates, Michael Cunningham, Rick Moody), le ragioni che impediscono agli esponenti della letteratura americana di considerare simbolo della libertà di stampa due redattori del giornale satirico (all’interno del quale in nome dell’islam è stata fatta una strage) sono state spiegate in una lettera che racconta un timore: “La nostra preoccupazione è che, assegnando a Charlie Hebdo il Toni e James C. Goodale Award per la libertà di espressione, il Pen non stia semplicemente manifestando sostegno alla libertà di espressione, ma stia anche dando valore a del materiale discriminatorio e offensivo: materiale che intensifica i sentimenti antislamici, antimaghreb, antiarabi già diffusi nel mondo occidentale”.

 

Ma è possibile che questa iper corretta paura, così forte che sembra quasi faccia prevalere l’“offesa” delle vignette sull’offesa alla vita umana di persone che impugnano matite da disegno possa avere a poco a poco provocato “l’erosione della libertà di espressione”, come sostengono al Gatestone Institute (un think tank non partisan e no profit per la politica internazionale)? Uno dei vignettisti di Charlie Hebdo, Luz, ha annunciato che non disegnerà mai più Maometto, perché non è più divertente, “non mi interessa più”, ma l’impressione generale nei confronti di chi fa satira, arte, letteratura, è che si senta la necessità di infilare se stessi, le proprie idee e quindi anche la propria libertà e ispirazione in una “comfort zone”, come scrive Denis MacEoin nel saggio intitolato: “The Erosion of Free Speech”: ritagliarsi una zona tranquilla, comoda, in cui ignorare una delle più grandi questioni politiche, militari e esistenziali del nostro tempo (dunque ignorare il nostro tempo). Non si tratta certo, scrive MacEoin, di notizie occasionali, ma allora “dove sono i romanzi?” “Dove sono i Le Carrè e i Ludlum, dove sono i Fleming e i Clancy? Il numero di romanzi che hanno a che fare con gli islamisti, con il terrorismo o con le minacce alla stabilità mondiale sono così pochi che non me ne ricordo nemmeno uno”. Michel Houellebecq ha scritto “Soumission” (in Italia pubblicato da Bompiani), che immagina la Francia nel 2022, governata da una specie di sharia attenuata, e vive sotto scorta, ma gli altri? “E’ solo una questione di moda oppure ci sono ragioni più profonde per questo apparente abbandono?”.

 

Abbandono dell’ispirazione, della volontà di raccontare, immaginare, romanzare. “La risposta è sì. La cultura occidentale, una volta costruita in parte sul principio della libertà di espressione – un principio sancito dal primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti e promosso in tutte le democrazie liberali – è stata indebolita dagli attacchi al diritto di ciascuno di parlare apertamente di politica, religione, sessualità, e moltissime altre cose”. Salman Rushdie ha ricevuto nel 1989 il primo colpo alla libertà di espressione, e la progressiva erosione della libertà si è travestita in molti modi e si è data molte giustificazioni. “Materiale discriminatorio e offensivo”, riferito alle vignette di Charlie Hebdo, e alla dissociazione da un premio per la libertà (pagata con la vita), è forse un’altra di queste giustificazioni.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.