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Il foglio AI

I falsi miti sulla sicurezza in Italia

Redazione

Pochissimi omicidi e un tema sugli stranieri. L’Istat smonta ipocrisie diffuse

C’è qualcosa di paradossale nel modo in cui discutiamo di sicurezza. I dati dell’ultimo rapporto Istat, di martedì scorso, mostrano che nel 2024 in Italia ci sono stati 327 omicidi, un numero in calo rispetto all’anno precedente, con un tasso di 0,55 per 100 mila abitanti: tra i più bassi in Europa. E’ un tabù che viene sventrato: siamo un paese oggettivamente sicuro, ma non riusciamo quasi mai a dirlo. L’idea che l’Italia viva in un’emergenza permanente continua a funzionare meglio della constatazione che la violenza letale è in contrazione da decenni, e che gli italiani, nel complesso, hanno un rischio molto basso di essere vittime di un omicidio. Il secondo tabù smascherato offerto dall’Istat riguarda un tema che il mondo progressista spesso si rifiuta di vedere. Non è vero che non esista un tema legato agli omicidi commessi da stranieri. Dei 298 casi con autore noto, 58 sono stati commessi da stranieri, pari a circa il 20 per cento, a fronte di una popolazione straniera che rappresenta meno del 9 per cento dei residenti. E’ un differenziale che non va né gonfiato né rimosso.

 

Ma anche qui la statistica dice più della polemica: in termini di eventi, il tasso è più elevato non per qualche tratto culturale generico, ma per condizioni materiali – redditi più bassi, fragilità famigliari, reti sociali ridotte, maggiore concentrazione in contesti marginali. E’ un fenomeno contenuto, ma esiste, e leggerlo correttamente aiuta a gestirlo senza distorsioni. C’è poi un terzo tabù, quasi sempre ignorato: gli stranieri non sono solo più presenti tra gli autori, ma anche tra le vittime. Nel 2024 le vittime straniere sono state 76, pari al 25,7 per cento del totale, con un tasso di vittimizzazione più che triplo rispetto a quello degli italiani. E la distribuzione interna è rivelatrice: gli stranieri vengono uccisi più spesso da altri stranieri (54 per cento) che da italiani (46 per cento). E’ un dato quasi assente dal dibattito pubblico, che tende a concentrarsi su pochi casi simbolici e a ignorare la dimensione più nascosta della violenza, quella che colpisce chi ha meno protezioni e meno strumenti per farsi vedere. Accanto a questi tre tabù ce ne sono altri tre che completano il quadro. Il primo: gli italiani, quando vengono uccisi, vengono uccisi quasi sempre da altri italiani. Le vittime italiane uccise da connazionali sono oltre il 90 per cento, un dato stabile che ridimensiona qualsiasi narrazione sull’insicurezza “importata”. Il secondo: quando uno straniero commette un omicidio, frequentemente colpisce un altro straniero. Non perché i gruppi vivano separati, ma perché la violenza – come le relazioni – segue linee di prossimità. Il terzo: l’aumento della quota femminile tra le vittime (una quota ancora troppo alta, ovviamente) non dipende statisticamente da un aumento degli omicidi di donne, che sono 116, praticamente quanto l’anno precedente, ma dal crollo degli omicidi contro gli uomini.

 

Gli omicidi maschili sono scesi a 211, e sono quelli a trainare la diminuzione complessiva. C’è un ultimo elemento che merita attenzione e che spesso sfugge, perché meno immediato da cogliere. L’evoluzione storica degli omicidi in Italia mostra infatti che molti dei fenomeni che oggi generano allarme non sono nuovi, né improvvisi, né in ascesa. La quota femminile delle vittime, ad esempio, era molto più bassa negli anni Novanta semplicemente perché allora si uccidevano molti più uomini, soprattutto in contesti criminali oggi quasi scomparsi. Allo stesso modo, la maggiore presenza di stranieri nelle statistiche recenti è anche una conseguenza del fatto che l’Italia è cambiata: più mobile, più aperta, più eterogenea. E’ un paese diverso rispetto a trent’anni fa, e leggere i numeri senza tenere conto di questa trasformazione produce analisi distorte. La sicurezza, insomma, è un fenomeno che si modifica lentamente, non attraverso scosse improvvise. Capirlo aiuta a evitare letture emotive e a misurare con più lucidità ciò che accade davvero nel paese. Mettere insieme questi numeri non serve a rassicurare o ad allarmare. Serve a osservare la realtà per com’è.

 

L’Italia non è un paese attraversato da un’onda crescente e generica di violenza. Esiste un differenziale di rischio che riguarda una parte della popolazione straniera. Quella stessa parte è anche più vulnerabile come vittima. E le narrazioni che dominano la scena pubblica spesso raccontano solo un lato del fenomeno. Per capire davvero la sicurezza servirebbero meno retorica, più dati, e la disponibilità a guardare anche ciò che non conferma le nostre paure. I tabù non spiegano nulla. I numeri, se letti senza pregiudizi, spiegano quasi tutto.

 

Testo realizzato con AI