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spostare le lancette
È ora di ripensare al cambio dell'ora. E se ci tenessimo per sempre l'ora solare?
Le esigenze belliche che furono all’origine dell’ora legale sono superate; i suoi obiettivi falliti. Forse è giunto il momento di scegliere uno standard e applicarlo tutto l’anno, come chiede la strana coppia Sánchez-Trump
Cosa hanno in comune il premier spagnolo Pedro Sánchez e il presidente americano Donald Trump? Entrambi vorrebbero abolire il cambio dell’ora. Nella notte tra sabato e domenica, cinquecento milioni di europei hanno spostato le lancette indietro, riguadagnando quell’ora di sonno che avevano perso a marzo; quattrocento milioni di americani faranno lo stesso il prossimo fine settimana. Ormai è un gesto naturale: eppure, non è sempre stato così. Anzi: la vasta maggioranza degli esseri umani non lo ha mai fatto o lo ha fatto solo per periodi di tempo relativamente brevi. In Africa soltanto l’Egitto ha quella che noi chiamiamo ora legale, in Asia la maggior parte ha smesso. Chi ha ragione, tra fautori e avversari dell’ora legale?
Quella del cambio dell’ora è una storia lunga e affascinante; i suoi benefici, molto dubbi; i suoi effetti, controversi; il suo futuro, tutto da capire. A riaprire il dibattito nell’Unione europea è stato proprio Sánchez, con un video postato su X in cui auspica che “nel 2026 si smetta definitivamente di spostare le lancette” e annuncia che porrà la questione al Consiglio Ue. Non è un’iniziativa priva di precedenti: nel 2018, la Commissione europea, all’epoca guidata da Jean-Claude Juncker, aveva formulato una proposta in tal senso, su cui aveva raccolto un riscontro favorevole dall’86 per cento dei partecipanti a una apposita consultazione pubblica.
La proposta aveva ottenuto anche il via libera del Parlamento, ma tutto si incagliò successivamente proprio in Consiglio, per la forte opposizione di paesi come la Grecia e il Portogallo. L’anno scorso 67 parlamentari europei hanno scritto una lettera bipartisan alla presidente Ursula von der Leyen perché riapra il dossier. Anche negli Stati Uniti la discussione è in corso. Nel dicembre 2024, poco dopo l’elezione, Trump aveva scritto sul suo social Truths che “l’ora legale è scomoda e molto costosa per la nostra nazione”. Ma poi a marzo ha fatto una parziale marcia indietro: “A molte persone piace in un modo, a molte altre piace nell’altro, è molto equilibrato. E di solito, quando è così – mi dico – che altro possiamo fare?”.
L’obiettivo del cambio dell’ora viene normalmente collegato al risparmio energetico, ma nasce ben prima delle crisi energetiche e delle campagne di sensibilizzazione sui consumi: è legato, per un verso, ai ritmi della società industriale e, per l’altro, all’esigenza di sfruttare meglio la luce del sole. L’espressione “ora legale” non aiuta, anche se nel passato si è prestata a epiche battute (“Scatta l’ora legale, panico tra i socialisti”, sul settimanale Cuore del 30 marzo 1991). In molti paesi si chiama più semplicemente “ora estiva”, come in Francia (heure d’été), Germania (Sommerzeit) e Spagna (hora de verano). Ma è il pragmatismo della lingua inglese che ci aiuta a comprendere di più e meglio: “daylight saving (o savings) time”, cioè ora di risparmio della luce diurna. L’obiettivo è, precisamente, risparmiare un’ora di luce, in modo da allungare la quota della giornata lavorativa che può beneficiare del sole ed evitare di sprecare, dormendo, ore di luce.
La manipolazione del tempo non è un’invenzione moderna. Le ore, per i romani, rappresentavano un dodicesimo del periodo compreso tra l’alba e il tramonto: quindi, gli orologi ad acqua venivano sistematicamente tarati per tenere conto del fatto che un’ora invernale era più breve di un’ora estiva. Il tema venne in vario modo posto nei secoli successivi: Benjamin Franklin nel 1784 scrisse che se i parigini si fossero svegliati un’ora prima, avrebbero risparmiato sulle candele, ma non propose di spostare l’ora. Solo che lui suggeriva di anticipare il risveglio, non di posticipare l’orologio. Le cose cambiarono con la Rivoluzione Industriale. Diversamente dalle società prevalentemente agricole del passato, nelle quali le attività umane erano scandite dal sole, l’industria, i suoi processi produttivi e i conseguenti cambiamenti sociali resero necessario regolarsi con l’orologio.
Quindi, da un certo punto in poi l’ora del risveglio non fu più data dal canto del gallo ma dal suono della sveglia e le persone non dovevano seguire il ritmo delle stagioni ma gli orari di ingresso in fabbrica o a scuola oppure il programma dei treni. Le persone cominciarono a interrogarsi se non ci fosse un modo migliore per sfruttare la luce naturale. Il primo a formulare una proposta articolata fu il costruttore inglese William Willett, che amava camminare nelle prime ore del giorno e giocare a golf la sera. Si stupiva che, di mattino, la gente rimanesse a letto e, la sera, fosse invece costretta a interrompere ogni cosa al calar del buio: ebbe quindi l’intuizione di sottrarre un’ora all’alba per aggiungerla prima del tramonto. Nel 1907 diede alle stampe un pamphlet di enorme successo, “The Waste of Daylight” (lo spreco della luce diurna), che suscitò un dibattito infuocato tra le maggiori personalità dell’epoca. Mentre i sudditi di Edoardo VII (peraltro entusiasta dell’idea di Willett, che applicò nei palazzi reali) litigavano tra di loro, i primi a sperimentarne un’applicazione pratica furono i residenti nella città di Port Arthur nell’Ontario (Canada), nel 1908.
Ma l’adozione su larga scala arrivò solo alcuni anni dopo, e per tutt’altra ragione: furono infatti gli imperi tedesco e austro-ungarico a spostare gli orologi il 30 aprile 1916, nel pieno della Grande guerra. Il loro obiettivo, strettamente collegato al contesto bellico, era risparmiare carbone riducendo le esigenze di illuminazione e facilitare la movimentazione dei treni per le truppe. Praticamente tutti i paesi coinvolti nel conflitto li imitarono nel giro di poche settimane. Ma, raggiunta la pace nel 1918, quando peraltro anche gli Stati Uniti si erano aggiunti, molti tornarono allo status quo. L’ora legale fece nuovamente proseliti durante la Seconda guerra mondiale, per poi essere abbandonata e ripresa definitivamente, almeno in Europa, durante gli anni Settanta, in risposta alle crisi petrolifere. Come riassume lo storico economico David Prerau, autore del libro “Seize the Daylight: The Curious and Contentious Story of Daylight Saving Time”, “Benjamin Franklin l’ha inventata. Sir Arthur Conan Doyle l’ha sostenuta. Winston Churchill ne ha fatto una campagna. Il Kaiser Guglielmo l’ha applicata per primo. Woodrow Wilson e Franklin Roosevelt ci sono andati in guerra e, più recentemente, gli Stati Uniti l’hanno usata per combattere contro la crisi energetica”.
Il che porta alla domanda: cosa sappiamo degli effetti dell’ora legale? A conti fatti e dopo un secolo di esperienze variegate, funziona oppure no? Il cambio dell’ora ha impatti prevalentemente su tre aspetti: i consumi di energia (e le conseguenti emissioni di CO2); la salute delle persone e, in particolare, il sonno; le loro abitudini e comportamenti. I risultati dei tanti studi pubblicati sono perlopiù inconclusivi o contraddittori. A complicare le cose è il fatto che la stessa pratica – spostare avanti e indietro le lancette due volte l’anno – può avere conseguenze significative in una zona e scarse in un’altra, perché molto dipende dalla latitudine (cioè dalla lunghezza effettiva del dì durante le varie stagioni) e dalla struttura socioeconomica. Non a caso, in Europa, sono soprattutto i paesi nordici a caldeggiarne l’abbandono.
In effetti, se valutata rispetto ai suoi obiettivi dichiarati, gli esiti dell’ora legale sembrano limitati. In generale, il passaggio all’ora legale favorisce un modesto risparmio nella domanda di energia elettrica ai fini di illuminazione domestica (circa lo 0,5 per cento), che però si azzera se si tiene conto dei maggiori consumi di carburante (gli individui approfittano della luce per passare più tempo all’aperto, e si spostano maggiormente).
Il caso più interessante è quello dell’Indiana, uno Stato Usa dove alcune contee applicano l’ora legale e altre no (tra l’altro, distribuite su due diversi fusi orari): il risultato dell’analisi svolta da un team di economisti rivela che il cambio dell’ora determina un incremento non solo dei consumi energetici totali, ma anche di quelli elettrici, di circa l’1 per cento. In Italia, Terna – la società che gestisce la rete di trasmissione dell’energia elettrica – stima che l’applicazione dell’ora legale nel 2025 abbia determinato minori consumi per circa 310 gigawattora (attorno allo 0,1 per cento del totale) e 145 mila tonnellate di CO2 (circa lo 0,05 per cento del totale). Ma questo si riferisce alla sola domanda elettrica, mentre di solito cresce il fabbisogno di benzina e gasolio. Non è chiaro al momento se e come l’elettrificazione dei trasporti avrà conseguenze; mentre è evidente che la crescente efficienza dei sistemi di illuminazione riduce i benefici attesi.
Poi ci sono gli effetti sulla salute. Il danno si concentra soprattutto nel momento del passaggio dall’ora solare all’ora legale, a marzo, quando l’intera società perde un’ora di sonno. Secondo uno studio appena pubblicato sulla rivista PNAS, se fosse possibile ottimizzare il rapporto tra sole e veglia, si potrebbero ridurre numerose patologie, quali obesità e infarti. Il problema è che l’attuale politica non solo non è ottimale, ma aggrava la situazione, sicché sarebbe preferibile abbandonare il cambio dell’ora, aderendo tutto l’anno all’ora legale (mentre i dati sono meno chiari nel caso fosse resa permanente l’ora solare). Anche qui, i dati vanno presi con le pinze: una ricerca pubblicata nel Regno Unito dalla Royal Society sostiene, al contrario, il cambio dell’ora rappresenta una soluzione pratica ai problemi legati alla diversa durata del dì nel corso delle stagioni e alla necessità di adeguare le ore di luce ai ritmi della vita contemporanea, che tipicamente segue orari fissi. Infatti, sotto il profilo sanitario e in particolare del sonno, il problema dell’ora solare è che, nella stagione estiva, l’alba arriva troppo presto. E’ quello che fece il presidente americano Richard Nixon nel 1974: nell’ottobre dello stesso anno, Gerald Ford, che nel frattempo gli era succeduto alla Casa Bianca, fece marcia indietro, perché i risparmi energetici erano stati limitati mentre le persone si lamentavano dei disagi dovuti al fatto che il sole sorgeva troppo tardi nella stagione invernale.
La più completa rassegna della letteratura, uscita sulla rivista “Time & Society” all’inizio di quest’anno, sintetizza così: “Vi sono effetti parzialmente positivi sui tassi di criminalità e sulla sicurezza stradale in generale, dovuti al ritardo nella disponibilità della luce naturale. Ciò contrasta con gli effetti chiaramente negativi sulla salute e sugli aspetti economici, principalmente causati dall’alterazione del ritmo circadiano e dai conseguenti problemi di sonno. Inoltre, rileviamo che l’idea originaria dell’ora legale di risparmiare energia probabilmente non è più valida e potrebbe persino portare a un aumento dei consumi”. Insomma, cent’anni dopo le prime applicazioni dell’ora legale e decine di studi, i benefici del cambio dell’ora sono difficili da documentare. Anche sui costi ci sono opinioni diverse, mentre è abbastanza assodato che questi riguardano non tanto l’adozione dell’uno o dell’altro standard, ma il processo di cambio dell’ora.
Ciò è dovuto anche al fatto che lo spostamento delle lancette non determina automaticamente la traslazione delle nostre attività di un’intera ora: serve del tempo per aggiustare i nostri comportamenti al nuovo orario. Gli economisti Patrick Baylis, Severin Borenstein ed Edward A. Rubin, sfruttando non solo il passaggio tra ora legale e solare ma anche la coesistenza di tre diversi fusi orari negli Usa, hanno mostrato che un’ora di differenza tra l’ora del sole e quella dell’orologio sposta le abitudini delle persone dai 9 ai 26 minuti, con differenze significative secondo l’area geografica e l’occupazione degli individui.
In breve, i benefici del cambio dell’ora sono presunti e aleatori, i suoi costi altrettanto, ma i fastidi e le frizioni nell’adattamento sono reali e ben documentati. Circa i due terzi dei paesi del mondo, in cui risiedono i sette ottavi della popolazione, vivono senza avvertire l’esigenza di cambiare l’ora. Molti dei paesi che lo facevano hanno smesso, e molti di quelli che lo fanno si interrogano se abbia ancora senso. Le esigenze belliche che furono all’origine dell’ora legale sono superate; i suoi obiettivi falliti. Forse è giunto il momento di scegliere uno standard e applicarlo tutto l’anno, come chiede la strana coppia Sánchez-Trump.