dal ghetto
Felicità, sollievo e dolore. La comunità ebraica di Roma celebra il ritorno degli ostaggi
Tra manifestazioni di gioia, Trump e ricordo delle vittime. "Adesso speriamo in una pace duratura", dicono nel quartiere ebraico subito dopo la cerimonia organizzata a Roma per salutare il rientro degli ostaggi
“E’ una grande giornata, tosta. Però molto bella”, dice Ilan a chi gli chiede come va. E’ uno dei proprietari di Ba’Ghetto, noto ristorante kosher del ghetto ebraico di Roma. Le sue parole sono ricorrenti anche in altre conversazioni che si sentono in via del Portico d’Ottavia, nel giorno in cui gli israeliani rapiti dai terroristi di Hamas tornano a casa. “Ora speriamo in una pace duratura”. Su una finestra è stata esposta una bandiera americana, non lontana da quella più grande di Israele che è lì da tempo.
Già da domenica sera, ci racconta il titolare del Caffè del Portico, si respira un’aria diversa: “Sono felicissimo. Negli ultimi due anni c’era la metà della gente in giro. Un clima pesante. Oggi ho visto manifestazioni di giubilo”. Sulla televisione del suo bar scorrono i notiziari, le dirette e gli aggiornamenti da Gerusalemme e Tel Aviv. Succede anche in altri locali della zona, mentre nelle strade del quartiere le forze dell’ordine sorvegliano i luoghi nevralgici. Arrivano le immagini della liberazione degli ostaggi. Negli stessi istanti, poco prima delle dieci, la Comunità ebraica romana si ritrova in via Elio Toaff per celebrare il momento tra bandiere e applausi, canti e preghiere. I più giovani sono in prima fila, danno una mano mentre viene rimosso lo striscione affisso davanti alla scuola ebraica con i volti dei sequestrati, accanto ai quali si leggevano le scritte: “Ucciso da Hamas”, “Salvato da Zahal”, o ancora: “Rilasciata in cambio di 50 terroristi”.
E’ una liberazione simbolica anche per gli ebrei romani, che però non dimenticano quello che è stato. “Una giornata davvero intensa, perché a due anni di distanza gli ostaggi finalmente tornano a casa. Abbiamo nel cuore un misto di grande pena e dolore per chi non tornerà più a casa e allo stesso tempo il sollievo di vedere alcune delle persone che tornano alle loro famiglie”, dice con commozione Victor Fadlun. Invita tutti a non abbassare la guardia sull’antisemitismo, chiede a tutte le istituzioni di fare la propria parte. Il presidente della comunità ebraica di Roma riconosce quindi “il valore enorme del lavoro fatto da Trump, perché è merito suo se siamo qui oggi”. Adesso, aggiunge Fadlun, “l’auspicio è che l’accordo venga rispettato. Sono due anni che nella sinagoga non abbiamo fatto altro che pregare nella speranza di vedere il ritorno a casa degli ostaggi e la fine di questa guerra”. Dall’altro lato dell’edificio, restano le immagini dei civili e dei soldati morti dopo l’attentato del 7 ottobre del 2023. Alcune sono affiancate da un Qr code attraverso cui si può ripercorrere la loro storia.
La mattinata prosegue con lo sguardo puntato verso Israele. Trump parla alla Knesset. Sulle panchine c’è chi segue sullo smartphone l’intervento del presidente americano. Al Parlamento di Gerusalemme il presidente americano riceve un’ovazione e anche dalle vie del quartiere ebraico arriva il riconoscimento per l’inquilino della Casa bianca. “E’ il giorno della felicità. Oggi è anche la festa delle Capanne”, esulta una ragazza, ricordando la coincidenza con la celebrazione ebraica. “Come ha detto Netanyahu, con il rilascio degli ostaggi la guerra è finita”, aggiunge con un sorriso prima di tornare nel locale dove lavora. E’ ottimista su quel che sarà. Altri lo sono meno, non si fidano di Hamas. Temono ritorsioni: “Chi sono i palestinesi che abbiamo liberato? Ci sono assassini e terroristi”, si chiede Adam – uomo sulla cinquantina – sistemandosi la kippah.
Non c’è solo questo. “La crisi del vicino oriente si inserisce in un contesto geopolitico più ampio”, avverte il professore David Meghnagi. L’accordo di queste ore è un primo passo a cui dovranno seguirne altri. Lo incrociamo mentre cammina per le vie del quartiere ebraico. C’è chi lo saluta e lo ringrazia per quello che ha fatto in questi mesi. E’ il direttore del master internazionale in didattica della Shoah all’Università Roma Tre. Ha dedicato alla memoria dell’Olocausto una buona parte del suo lavoro, denunciando le derive d’odio verso Israele. Se ne occupa da tempo, ben prima del sette ottobre. E oggi pensa che siamo davanti a “un’orgia antisemita, in cui la distorsione cognitiva di una certa politica ha avuto un ruolo pesante”.
Lo dice anche Amit, un altro dei responsabili di Ba’ghetto. “Quello che viviamo in queste ore è un momento importatissimo non solo per noi, ma per tutto il mondo. In questi mesi abbiamo percepito un antisemitismo crescente. Qualcuno ce l’aveva dentro da sempre e ha cercato un pretesto per tirarlo fuori. Purtroppo temo che lo sentiremo ancora”. Nel quartiere ebraico intanto cominciano i preparativi per un’altra festa, lo Sheminì Atzeret (legata alla festa delle Capanne) a cui seguiranno le celebrazioni di Simchat Torah – la festa della gioia. Andrà avanti fino a mercoledì, ma quest’anno avrà un altro sapore.

UN CONSIGLIO DI LETTURA DI UN NOSTRO PARTNER: Leonardo