il caso

A Reggio Emilia il sindaco dice “ostaggi” e si scatenano i deliri filo terroristi di Francesca Albanese

Maurizio Crippa

Il primo cittadino sommerso dai fischi del teatro per aver citato la liberazione degli ostaggi come condizione di pace. La relatrice Onu lo corregge e la platea trasforma l’incontro in un comizio filopalestinese

Sventolare la bandiera palestinese per raccattare consensi non ha portato bene neppure a Matteo Ricci, ma almeno lui si giocava la poltrona. Meno comprensibile, se è permessa una critica politica, la scelta del sindaco di Reggio nell’Emilia, Marco Massari, di premiare per meriti filopalestinesi l’avvocata Francesca Albanese e finire però ugualmente sotto i fischi che si riservano agli amici di Israele, sfanculato persino dalla premiata relatrice speciale dell’Onu. L’altra sera al Teatro Valli della città emiliana per un paio d’ore Albanese ha tenuto comizio (ipsa dixit) presentando un suo libro e concionando di “genocidio” – la parola “tremenda e mendace” (Ferrara) con cui si inchioda Israele. Il sindaco Massari è persona rispettabile e soprattutto rispettosa della verità. E mal gliene incolse, davanti a una platea che alla verità preferisce il culto del proprio odio. Così al momento di consegnare il premio Primo Tricolore (nacque a Reggio nell’Emilia, com’è noto), il sindaco ha detto che il “feroce attacco del 7 ottobre non giustifica il massacro in corso a Gaza”, e questa gliel’hanno fatta passare, ma poi l’ingenuo ha aggiunto: “Credo che la fine del genocidio e la liberazione degli ostaggi siano condizioni necessarie per avviare per quanto possibile il processo di pace”. A quel punto la fino ad allora osannante platea si è scatenata in una selva di ululati, di fischi, grida da stadio. Lo hanno interrotto, i democratici e umanitari cittadini di Reggio nell’Emilia. Hanno gridato “vergognati” e altro. Non perché avesse difeso Israele o la guerra, ma semplicemente per aver detto la parola per loro odiosa, “ostaggi”. La parola che chi pensa come Albanese vuole invece cancellare: Massimo Recalcati ha scritto dei “corpi invisibili” degli ostaggi di Gaza, è stato coperto di insulti pure lui. Prova a riprendere il sindaco: “Come avete potuto capire dalle parole di Albanese…” e un’Erinni  urla: “Sei tu che non hai capito!”. Perché se dici “ostaggi”, sei uno di “loro”. L’odio in purezza. Basterebbe a capire l’orrore che promana dalle claque adoranti di Albanese, le stesse dei social, delle manifestazioni violente, della flotilla da cui ormai coloro che credevano nel gesto di solidarietà scappano o sono scacciati. A tricolore incassato, Albanese non si tiene dal fare la lezioncina: “Lo so che siete arrabbiati, anche io lo sono… Il sindaco si è sbagliato, ha detto una cosa che non è vera. La pace non ha bisogno di condizioni”. Tradotto: gli ostaggi non devono essere restituiti. “Qui non stiamo parlando di una guerra. Stiamo parlando di mettere fine a un’occupazione coloniale”. Questo sì, concetto sbagliato, a meno di intendere, ovviamente, che gli ebrei vanno ricacciati dal fiume al mare. “Nessuno giustifica i massacri del 7 ottobre”, dice, ma il Valli sembrerebbe pensare il contrario. “Non bisogna giustificarli i terroristi, bisogna chiedersi che cosa vogliono, che cosa chiedono. Alla fine la Storia si ricorderà di questo: sono riusciti a riportare la Palestina al centro della discussione. I terroristi stanno animando una rivoluzione globale che ci sta facendo pensare”. Non potrebbe esserci giustificazione più plateale di violenza e terrorismo. E noi che osavamo lamentarci della filosofa commossa per l’assassina Balzerani. “Quante volte dobbiamo condannare il 7 ottobre?”, grida. Finché ci sono gli ostaggi, rispondiamo. Poi chiude in un accesso di narcisismo etico: “Io il sindaco non lo giudico, lo perdono”. Come l’Amon Göth di Schindler’s List, il nazista che provava la sua moralità davanti allo specchio.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"