
Il centro di permanenza per il rimpatrio di Gjader in Albania (Ansa/Domenico Palesse)
Stop ai rimpatri in Bangladesh per due migranti dal centro in Albania: “Rischiano sfruttamento e violenze”
Il Tribunale di Roma smentisce il governo: due cittadini bengalesi ottengono la protezione internazionale. La sentenza riapre il dibattito sulla lista dei “paesi sicuri” voluta dall’esecutivo
Nuovo stop giudiziario alla strategia del governo sui rimpatri accelerati. Il Tribunale di Roma ha riconosciuto la protezione internazionale a due cittadini del Bangladesh, entrambi passati dal centro italiano in Albania, ritenendo che il loro paese d’origine non offra garanzie di sicurezza a chi è vittima di tratta e sfruttamento. Il provvedimento contrasta con la linea dell’esecutivo, che dal 2023 inserisce il Bangladesh nell’elenco dei “paesi di origine sicuri”, una classificazione che consente di esaminare le richieste di asilo con procedura accelerata e maggiori probabilità di respingimento. Secondo i giudici, però, questa impostazione non può prevalere sulla valutazione caso per caso prevista dalle norme internazionali, come ha ribadito la Corte di giustizia europea il 1° agosto.
Uno dei due ricorrenti, padre di quattro figlie, aveva lasciato il villaggio per sfuggire a povertà, debiti e minacce. Durante il viaggio è stato rapito in Libia, torturato per mesi e liberato solo dopo il pagamento di un riscatto. La sua domanda di protezione era stata respinta nell’ottobre 2024, a ridosso del trasferimento nel Cpr di Gjader, ma i giudici hanno ribaltato la decisione, riconoscendolo come vittima di tratta ai sensi della Convenzione di Ginevra.
Il tribunale, valutando nuovamente il caso, ha giudicato credibile il racconto e ha riconosciuto all’uomo lo status di vittima di tratta, facendolo rientrare tra i “particolari gruppi sociali” tutelati dalla Convenzione di Ginevra. La sentenza ha evidenziato l’obbligo di un’analisi individuale, anche quando un paese è considerato “sicuro” a livello generale, e ha criticato la commissione territoriale per non aver approfondito segnali di sfruttamento già emersi durante l’audizione. L’uomo entrerà ora nel programma nazionale di assistenza e integrazione per le vittime di tratta.
Storia analoga per il secondo migrante, padre di due figli, sequestrato in Libia per 18 giorni dopo aver contratto prestiti usurari nel proprio paese. La famiglia, con enormi sacrifici, ha pagato per la sua liberazione. Tornare in Bangladesh, ha spiegato, significherebbe esporsi a ritorsioni e a un alto rischio di finire nuovamente nelle mani dei trafficanti.
La sentenza cita rapporti Onu e di ong internazionali, che documentano la diffusione dell’usura rurale e il fenomeno del “retrafficking”, cioè la concreta possibilità di ricadere in circuiti di sfruttamento. Elementi che, per il tribunale, dimostrano come il Bangladesh non offra protezione effettiva a queste categorie vulnerabili, smentendo di fatto la valutazione politica del governo.