Il Foglio Weekend

Così muore un quasi-re: la Camera ardente di Vittorio Emanuele alla Venaria Reale

Michele Masneri

Non glie ne va bene una. Nell’unica due giorni di pioggia-nebbia in questo febbraio già primaverile, Torino si prepara a dare l’addio al suo quasi re Vittorio Emanuele. Torino però rimane ancorata a prima del climate change dunque nebbione, pioggia, scenari da  Caspar David Friedrich. I poveri Savoia organizzano la kermesse funeraria in una Torino presa da tutt’altre faccende, tra l’altro. Intanto a livello nazionale c’è Sanremo.  Poi, più locale: la causa Elkann: addirittura indagato John, una cosa mai sentita né vista, dalla procura di Torino a seguito dell’esposto della madre Margherita per l’annosa questione. Poi ci sono i i trattori, e poi lo sciopero nazionale, e come se non bastasse  lunedì scatta la cassa integrazione per i dipendenti del gruppo Stellantis, e il suv Maserati che non verrà più prodotto a Mirafiori.  E perfino lo sbarco in città di Mike Tyson che sta partecipando alle riprese del film “Bunny Man” e si trova talmente bene a Torino che medita di comprarci una casa (grazie anche ai prezzi bassi di una capitalina comunque dimessa rispetto ai tempi d’oro.

 

E se colpisce Elkann indagato, disonore che fu risparmiato al nonno Agnelli, il confronto delle esequie Savoia è impietoso con l’altra grande camera ardente che la città ricorda, proprio quella di ventun anni fa, quando per tre giorni nel 2003 gli Agnelli al gran completo strinsero le mani del popolo (e lì sì funerale di stato, centomila persone presenti, con corazzieri, addirittura due presidenti della repubblica, uno in carica e uno no, Ciampi e Scalfaro, e poi Berlusconi premier, e l’ex Andreotti.  La stampa uscì in edizione straordinaria, e le sorelle Agnelli lamentarono dolori agli arti per le troppe strette di mano. Oggi, è dura. Necrologi pochissimi, tra cui quello di Lapo Elkann da Comporta, un altro esiliato torinese in Portogallo. Però, però. Non buttiamoci giù. Avanti, Savoia? 

 

Verrà qualcuno? “La camera ardente alla Venaria Reale è proprio per chi ci tiene tanto, è mezz’ora di macchina da Torino”, mi dice un ben informato. “Il funerale è invece  più per farsi vedere”. Interrogo un amico di famiglia dei Savoia, il prestigioso gioielliere milanese Alberto Pederzani. “Io non andrò, non posso, ho avuto dei problemi di salute”. Collare della Santissima Annunziata, la più alta onorificenza che i Savoia possono conferire (perché i Savoia conferiscono onorificenze), Pederzani è stato anche campione di sci nautico, amico dunque sia della campionessa Marina Doria che di Vittorio Emanuele (“grazie a lui l’Agusta degli elicotteri che vendeva allo scià di Persia è salita da 3000 a 9000 operai”. Eh ma li vendevano all’Iran violando l’embrago. “No, magari, quello lo facevano gli americani”. Ah, ok. A Torino che si dice intanto di queste esequie? “Niente”, mi gela Giorgina Siviero, titolare di San Carlo 1973, storica boutique  proprio accanto al club del Whist, roccaforte di conservatorismo torinese.  Nessun movimento?”Ma le pare che le mie clienti non hanno già un capo nero in guardaroba?Comunque no”. Annamo bene. 


Oggi, comunque, funerale quasi di Stato in Duomo per Vittorio Emanuele, quasi-re, ma ieri, ieri alla Venaria Reale, che scene, per la camera ardente.  Intanto anche lì tutto un inguacchio, una polemica. “Alla Venaria non è mai stata allestita una camera ardente  né un funerale dal giorno della sua fondazione nel 1658”, ha rilevato lo storico Andrea Merlotti, direttore del centro studi delle Residenze sabaude. Invece è contento il Cav. Avv. Michele Briamonte, già socio fondatore dello studio legale Grande Stevens e presidente del Consorzio delle Residenze Reali Sabaude (che dinamiche intense, in queste residenze reali sabaude). Secondo lui la camera ardente per Vittorio Emanuele “è una forma di promozione importante, un’attività che ci porterà molta visibilità. In questi giorni i giornali e i telegiornali stanno parlando della Reggia. Tutto gioca alla conoscenza del luogo”. Non si capisce comunque chi paga.   


E però va detto, non li lasciano mai in pace questi Savoia, neanche quando muoiono. E al Pantheon non va bene, e a Superga nemmeno: quando Vittorio Emanuele II padre della patria fu celebrato a Roma e sepolto al Pantheon qui a Torino tutti si arrabbiarono. Adesso la Venaria. Il claim della Venaria (reale) è: “Una meta reale. Dove la bellezza supera l’immaginazione”, in programma oggi “Scherzo di carnevale”, poi c’è una mostra sugli igloo di Mario Merz, menrte la mostra appena conclusa “Sovrani a tavola”! ha raggiunto la cifra di 63.590 visitatori (buono) ma in generale la gestione 2023 ha generato 16 milioni di euro e 450 mila visitatori.  Ottimo!


La Venaria, specie di City Life o Versailles che i Savoia s’erano edificati nel Seicento per gli svaghi di caccia fuoriporta, eccola qua.   Superata la periferia torinese, i centri commerciali e gli svincoli, davanti al piazzalone della chiesa tondeggiante e juvarriana di Sant’Uberto, si apre il bel paesone di trentamila abitanti. Lì alle 12,30 ecco schierate dodici macchine della polizia, quattro ambulanze, di cui una dell’Ordine di Malta, una Tesla. Alle 12,45 si aprono i portoni ed entrano i visitatori – questa camera ardente è democraticamente aperta a tutti, mentre oggi in Duomo ci saranno soprattutto teste coronate o semicoronate…  All’ingresso della chiesa, nel libro delle firme sotto lo stemma dei Savoia tra i predicati nobiliari ecco Mario Borghezio, già pasdaran leghista, torinese, che scrive: “Viva il RE!”. Vabbè.


Intanto i giovani del cerimoniale reale (!) declamano… “per la Spagna conferma la regina madre donna Sofia, molto amica dei Savoia, lei della famiglia è quella che si occcupa dei funerali”, mi dice Simone Balestrini, uno degli addetti molto professionali ed eleganti… “per i Windsor andiamo male, quelli stanno tutti occupati, hanno messo al lavoro pure i cugini…” ma come? “Eh, sì, con  Carlo e Kate fuorigioco...”. Ma quindi la cosa di Carlo è seria?”Sì”. Mannaggia. “Per gli Asburgo ci sarà Martino d’Asburgo”. Ma chi è mai Martino d’Asburgo? Mi guarda stupito di questa ignoranza Balestrini, che insieme a Filippo Bruno di Tornaforte sono i giovani che coordinano l’happening savoiardo. Balestrini è un appassionato di monarchie, ne ha fatto pure una startup,  lui si occupa di pubbliche relazioni “di famiglie reali regnanti”, dice. Quindi è un monarchico freelance? “Possiamo dire di sì”. “Collaboro con diversi casati”, dice, “mi affascina più l’attualità che la storia”, ha un sito, www.giovanimonarchici.it, e spiega ai giornalisti che domani cioè oggi verrà pure Aimone d’Aosta, segno che la vecchia faida in seno alla famiglia si è appianata dopo i famosi scazzottamenti al matrimonio di Felipe di Spagna. “AMione?” fa una delle numerose giornaliste non ferrate di Gotha. Lui, il monarchico freelance, scandisce, paziente: “no, A-i-m-o-ne”, e poi a me, “sa, è importante conoscere bene i nomi”, certo per fare le pr in questo delicato settore.

 

Intanto sfilano appassionati, reduci, fanatici, nostalgici, chi in sedia a rotelle, chi impettito, ecco gran baffi, posture marziali, guardie d’onore, ricrescite. Un signore avvolto nel tricolore sabaudo. “Ah, anche io sono giornalista! Del giornale Il Canavese”. Una signora con cappello di pelliccia e decorazioni distribuisce caramelle gommose lamentando: “è tutto finito! E’ tutto finito”. Emanuele Filiberto a sinistra dell’altare. Sta un po’ seduto, un po’ si alza, stringe mani. A terra avvolto nel tricolore è deposto il corpo di Vittorio Emanuele che poteva essere re d’Italia, more nobilium, chi è stato grande in vita sta giù per terra in morte, “una volta c’erano giornalisti esperti”, sospira il giovane pr monarchico. Ma l’Ordine non fa niente. Nel frattempo, Emanuele Filiberto è gentile,  commosso,  i lineamenti immoti, forse paralizzato dalla responsabilità regale, o forse ha fatto qualcosa alla faccia. “E allora”, declama un signore alto, con borsalino nero e sciarpa bianca, fantastico, identico al  megadirettore naturale duca conte Semenzara, “gli ho dato un destro, e l’ho fatto cadere a terra. Sa, mi stavano rubando la valigia. E Sua Altezza mi ha detto: ‘Comte, vous êtes formidable! Non ho mai visto nessuno colpire di destro senza farsi cadere la lobbia’. Eravamo a Napoli al Circolo dell’Unione, c’erano dei gruppi neoborbonici fuori:  ‘noi vulimm’o lavoro, e ci hanno dato ‘o re’”, deve riferirsi alla visita di Vittorio Emanuele a Napoli subito dopo la fine dell’esilio. Ci furono tafferugli. 


Una signora in fila con figlio alto, lei piccola con baschetto nero. “Mi chiamo Luigina Fenoglio. Noi siamo qui come piemontesi, siamo una famiglia come i Savoia, non nobile, ecco, ma come loro. Ecco mio figlio Emanuele”, e il figlio ha l’aria un po’ stanca, fanno su e giù fino all’altare molte volte. Poi la signora  attacca a parlarmi in piemontese strettissimo e non mi molla più, capisco solo “quando c’erano i Camerana...”.  E’ chiaramente la mamma della scena del referendum di “Una vita difficile”, quando Alberto Sordi e Lea Massari vanno a passare la sera del referendum monarchia/repubblica da dei nobili piemontesi. Più che altro sembra di essere dentro quella scena tutto il tempo. Passa Borghezio, molto acclamato e vecchissimo, anche lui mugugna cose incomprensibili in piemontese.


Corone di fiori: “la delegazione scandinava degli ordini” (gli Ordini sono quelli cavallereschi che fanno ancora capo ai Savoia, danno onorificenze, raccolgono beneficienza, in tutto il mondo, a qualcuno piace, forse sarebbero anche voti potenziali, forse Emanuele Filiberto ci sta pensando, nel marasma generale, ha detto che non esclude la politica). Altre corone: “Famiglia Giugiaro. Guardia d’onore di Cuneo. Vittoria e Luisa. La reine des Belges.  Fedelissimi delle Marche”. 
“Ci hanno dato una mano molto le serie, le piattaforme”, mi dice il monarchico freelance. “Non solo The Crown, ma adesso stanno facendo quella sulla regina Maxima d’Olanda, e poi la Norvegia va tantissimo. E i Grecia? Sono tutti pazzi per i Grecia. Se lei ci fa caso ormai ogni giorno ci sono notizie sui Reali”. E’ vero, e chissà se i fondatori di Netflix erano consapevoli laggiù nella Silicon Valley che avrebbero riportato in auge la monarchia. Intanto Emanuele Filiberto chissà se pensa a una serie o a un partito, il futuro ora è suo,  libero dal fardello paterno. Accanto a lui c’è Maria Pia, la pià anziana delle sorelle del padre, col figlio Serge di Jugoslavia. Maria Gabriella è bloccata in ospedale a Ginevra, Maria Beatrice, detta Titti, famosa per le sue love story, tra cui il playboy Maurizio Arena, quello di Poveri ma belli, è in Messico. C’è una figlia di Maria Gabriella e di Robert de Balkany, inventore di moderno centri commerciali. Molto chic.

 

Intanto sfilano: chevallière di tutte le fogge, d’argento, d’oro, d’onice. Baffoni risorgimentali tipo serie rai su Mameli. Favoriti. Ogni tanto la guardia d’onore si mette sull’attenti. Salgono degli ufficiali di Marina.  Riposo. Continua il diluvio. “Mah, speriamo domani faccia bello”, dice pensieroso il capitano di Vascello Ugo d’Atri, non si sa se “d” maiuscola o minuscola, che pure è fondamentale presidente delle Guardie d’onore. Capannelli. Discorsi origliati: “ Dimitri è in forse. Michel è in centroamerica”. All’una e mezza andiamo a mangiare un boccone sul viale principale di questa Venaria Reale, bel borgo di ristoranti e negozi di souvenir e piadinerie. Avete avuto un boom di turisti, chiediamo alla ristoratrice del Divinum. “No, però di solito i ristoranti di venerdì tengono chiuso e oggi hanno aperto”, insomma questi Savoia smuovono un po’ l’indotto, effetto Taylor Swift. Dentro al ristorante, tutti con chevallière, anche uno in chiodo di pelle, forse monarchico motociclista.  Accanto a noi un tavolo. “Eh, quando c’era il duce!”, due signori che si erano visti in chiesa. “Faccia il bravo conte che ho mezza famiglia ebrea”, risponde l’altro. 


Torniamo in chiesa. Scopriamo che a) il presidente del Senato Ignazio La Russa ha fatto un blitz, è passato di volata, dichiarando che “la dinastia Savoia è stata artefice dell’unità d’Italia”. “Il fascismo ci ha rovinati” mi fa  un signore elegante ricoperto di medaglie. Si qualifica, Massimiliano Agostini Novello, nobile. Ah meno male, antifascista! Macché. “Il duce ci ha rovinato tutti abolendo il maggiorascato! Ai miei tempi il primogenito ereditava tutto, gli altri andavano preti o militari e le sorelle in convento. Quel socialista!”. Ecco perché un The Crown da noi non potrebbe mai funzionare. Il decorato è stato anche consigliere comunale della Lega a Merano e amministratore della birra Forst. Nel frattempo sono arrivate pure Le Loro Altezze Reali la moglie  di Emanuele Filiberto, Clotilde Coureau, e le due figlie, Vittoria che è la nostra infanta d’Italia (han cambiato la legge salica e sarà lei a portare avanti il casato, anche se Emanuele Filiberto dice calma, ci sono prima io), e Luisa, bellissime, eleganti, tutte in nero. Vittoria è una piccola star dei social, sul suo profilo Instagram le fanno tutti le condoglianze. “Ciao sei bellissima e buona... .sono di Torino tu sei principessa di Carignano ho saputo....condoglianze di cuore a tutti voi spero chissà di conoscerti” scrive uno (ma qui forse è una scusa per fare un po’ il provolone).

 

Emanuele Filiberto e le Loro Altezze Reali al completo fanno una visita veloce alla reggia al piano di sopra, io mi imbuco. Ecco tutti i ritratti degli antenati, e suppellettili compresi piatti e bicchieri (notevoli le posaterie) e chissà che pensieri in testa: se fossero stati un po’ più accorti, gli antenati. Mentre il piccolo corteo avanza, e gli sparuti visitatori scattano flash, si sente: “ecco un grande momento… ecco l’illustrissimo principe…”. Un paggio sta declamando. Che brividi monarchici. What if… Forse non è successo niente e per uno strano fenomeno spaziotemporale c’è ancora la monarchia, forse approfittando di Sanremo c’è stato un golpe, e Emanuele Filiberto è sul trono, non tutto è perduto! Tutti si guardano attorno, anche le Loro Altezze. Ma è una compagnia teatrale che sta provando “Lo Scherzo”, una pièce teatrale  attorno a un tavolo imbandito con dell’uva finta. “Ah, già, domani inziia il carnevale”, fa Emanuele Filiberto, poraccio. “Che bello…”, commenta distrutto. La moglie e le figlie parlottano in francese. Poi passano sotto a un ritratto di un altro Savoia gigantesco con delle scarpette rosse e il direttore della Venaria per fare il simpatico fa: “il ne sont pas des Louboutin”, le principessine rimangono perplesse. “Per favore non calpestate il tappeto”, dice al real corteo una guardia del museo, chiaramente antimonarchica. In altri tempi sarebbe  passata per le armi. Alle 16 in punto arriva Marina Ricolfi Doria, sempre uguale, già principessa dei biscotti e dello sci d’acqua, dà una carezza alla bara e si siede. E che deve fa. Guardie sull’attenti. Poi mandano fuori i cronisti, tutto è pronto per il funerale, oggi, speriamo nel tempo. “I Napoleone vengono? “Un figlio del re dell’Arabia Saudita conferma… Martino d’Asburgo?”. Martino d’Asburgo è sempre confermato. 

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).