Contro il femminicidio le regole non bastano, ed è ora di capirlo

Ester Viola

Le card instagram più visualizzate riportano una poesia. Il giorno dopo bruciate tutto. Ma cosa dobbiamo bruciare? Contro chi dobbiamo combattere? Per questo pubblichiamo la poesia: perché per il resto non si sa che fare

All’ennesimo articolino – il mio – benintenzionato dopo che una ragazza ci aveva rimesso la vita perché il fidanzato aveva deciso che doveva morire, ho perso le forze. Il tono molto accorato come si addice alle circostanze, poi sempre più ipocrita e commosso, tanto chi scrive un tema lo sa fare. Stabat Mater, un’altra volta, ma cambiando gli accordi. Così ho pensato che potevo pure stare zitta, tanto con o senza la centesima bella frase è uguale. Sto appresso a un funerale. Davanti non c’è un futuro da costruire, c’è una bara. Né fiori né opere di bene, figurati le parole che fine devono andare a fare, oggi. Le card instagram più visualizzate riportano una poesia. Il giorno dopo bruciate tutto. Cosa dobbiamo bruciare? E infatti siamo andate a lavorare come ogni mattina. Poi ti dici che non serve neanche il nichilismo dei predestinati. Non serve stare come sto io. Vuol dire che hai già perso, anzi  hai perso due volte. Si deve combattere. E io vorrei pure combattere, ma contro chi? Il patriarcato? la mentalità? Tutti gli uomini?

 

Non serve l’appello alle nuove leggi. Le leggi ci sono, ma deve andare tutto troppo bene. Se aspettiamo che ci sia il gabbio per sintomi, non sarà mai possibile. Non serve dire che allora la giustizia fallisce. Perché è proprio così. Una sentenza è il risarcimento che dà la giustizia per compensare il difetto congenito dei processi: nessuno potrà tornare indietro fino a riparare i danni che sono stati fatti. La legge è l’ammissione universale che siamo capaci solo di contarli, quei danni. Ristabilire la parità con qualche soldo, per la vita è tardi. È il massimo che si può avere. In nome del popolo italiano ti dicono che hai ragione. Che non doveva finire così. Intanto è finita. Non serve dire che se non è successo a noi è perché siamo state fortunate. Perché è vero, e ci sarebbe solo da tremare e io non mi sogno di passare la vita ad avere paura, non ho voglia. Non serve ricominciare daccapo tutte le volte: il coro greco con gli accorati appelli al coraggio di cambiare. Ogni tanto con qualche variazione.

 

Come i corsi per l’affettività consapevole. Prendiamo i ragazzini e li istruiamo: se ti lascia non è la fine del mondo. Ma uno su trecentomila magari era assente alla lezione con proiezione Pixar sul farsi amici i dolori, e dopo quindici anni metterà in macchina un coltello, sacchi neri e cocaina aiutami. Tanto la differenza tra maschi e femmine sempre quella rimane: è biologica, pesiamo la metà di loro. Detto senza arte: se uno vuole, mi accoppa in un minuto.

 

Non serve dire che è il patriarcato, o magari serve perché almeno pare che ce la prendiamo con qualcuno. Nemico occulto è sempre meglio di nessun nemico. Non serve dire studiate perché questa creatura, Giulia anzi, la Dottoressa in ingegneria Giulia Cecchettin aveva fatto proprio quello: aveva studiato. Le intesteranno una bella aula all’università, così ci mettiamo a posto con la memoria, con una targhetta d’ottone. Non serve fare gli anti-ingenui. Perché anche questi gesti poi sono importanti. La targhetta d’ottone vuol dire qualcosa. L'ottone non sparisce e non appanna, sa fare i conti con la memoria. Non serve togliere all’assassino ogni giustizia e trattarlo come un animale che ha ragionato lucidamente. Se ragioni lucidamente, trent’anni di galera cerchi di evitarteli. Questo ti raccontano, gli ex detenuti. Che esci morto, dalla galera, non riabilitato. Morto in modi che noi vivi non possiamo neanche immaginare. Non serve niente. Per questo pubblichiamo la poesia e le frasi all’uncinetto fatte col filo nero a lutto. Perché per il resto non si sa che fare.

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