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da Trento

Tra i trentini che hanno paura degli orsi

Jacopo Strapparava

“Andrea Papi poteva essere ciascuno di noi”. A Trento una manifestazione per denunciare il problema del rapporto con gli orsi di chi vive in montagna: "Ci vorrebbe più buonsenso"

Trento. Ancora non c’è quasi nessuno, ma per scaldare la gente hanno già acceso gli altoparlanti, sparano a tutto volume gli 883: “Ma perché sei andata viaaaa… mi son persa nella notteeee…”. Poi, piano piano, la folla arriva. “Dal monte Bondone”. “Da Arco, sopra Riva del Garda”. “Da Malè, Val di Sole”. “Castelfondo, Val di Non”. “Piazzola, Val di Rabbi”. “Pieve Tesino, Valsugana”. “Villa Lagarina, Rovereto”. “Trento città”. “Inutile far tante domande, giornalista. Veniamo un po’ da tutto il Trentino. E siamo molto molto incazzati”.

Per averne la riprova, basta un altro giro di domande. “Andrea Papi poteva essere ciascuno di noi”. “C’è solo una razza più pericolosa dell’orso: gli animalisti!” “Ah, quelli! Tutti nullafacenti, tutti parassiti della società!”. “Certo che pure voi della stampa però…”. “Si caccia il cervo, si caccia il capriolo, si caccia il camoscio, si caccia la lepre… perché l’orso no?” “Perché non riempire le strade di Roma di coccodrilli?”. “Se i terreni vengono abbandonati poi per forza che succede come in Emilia Romagna…”. La più spaventata è una vecchietta, che non vuole nemmeno dire il suo nome: “Mi son trovata l’orso in giardino” e mostra le foto sul cellulare. La più eloquente è Veronica, 26 anni, una malga dalle parti di Cavalese. M49, qualche anno fa – erano gli epici giorni della fuga – le ha sbranato quattro-cinque pecore, lei si è portata dietro le foto, stampate su dei cartelloni. “Vorrei far capire ai cittadini, cosa vuol dire per noi andar al lavoro, alle quattro di mattina. Te lo dico en bon trentín: tel cheghes ‘nte le braghe!”

Nel frattempo, si son fatte le dieci. La manifestazione sta per iniziare. Ecco il governatore, “il Maurizio” – a Trento si dice “il Maurizio”, con l’articolo – a ottobre si vota, con questa storia conta di avere la rielezione in tasca. Ecco i sette sindaci della Val di Sole, in fascia tricolore. Otto bambini piccolissimi reggono uno striscione: “Vogliamo poter giocare nel bosco”. Sotto due tendoni, il comitato “Insieme per Andrea Papi” raccoglie fondi e adesioni. Decine di persone, per vedere meglio, si arrampicano sul monumento a Dante Alighieri.

La folla, va da sé, è piuttosto ruspante. E inevitabilmente, all’occhio del cronista, saltano subito agli occhi i dettagli più folcloristici. Le bestemmie. La Babele di dialetti (qui ogni valle ha il suo, districarsi è complicatissimo). I cappelli di feltro. I giovani vestiti da Schützen. Gli allevatori che, per farsi sentire meglio, si son portati dietro i campanacci delle loro mucche.

Primo momento saliente: le chiacchiere con un giovane montanaro. Ventenne. Alto due metri. Quanto pesi? “Un quintale e due”. Il tuo campanaccio? “Se quei che so io, i me rompe i cojoni… glielo tiro sui denti!” (poi però, se gli chiediamo il permesso di scattare una foto, si imbarazza tantissimo: è chiaro, si tratta di un gigante buono).

Secondo momento saliente: la contestazione. A un certo punto, nei giardini della piazza compaiono tre sparuti animalisti, vestiti di nero, in mano uno striscione giallo. Per un attimo, tutti ammutoliscono. Poi succede tipo la battaglia del “Gladiatore”, solo che questi sono tremila contro tre. I valligiani più arrabbiati tra i molti arrabbiati – le solite “frange”, come si dice in questi casi – si fanno sotto. Insulti. Gli animalisti – cui, bisogna dirlo, non manca una buona dose di coraggio – reagiscono a parole (solo l’intervento della polizia evita ai tre provocatori di finire a mollo nel laghetto della piazza, tra i giunchi e le paperelle).

Al di là del folclore e degli aneddoti, chiunque si trovi in piazza capisce subito che in ballo ci sono questioni serie. Drammaticamente serie. Un progetto ambientalista sfuggito di mano. Il numero di orsi che cresce di continuo, senza che nessuno possa fare niente. La politica nazionale, troppo distante dalla gente comune, che fatica a distinguere tra problemi concreti e slogan buoni per i social. L’esasperazione, il senso di impotenza delle comunità, che si sentono incapaci di determinare il proprio destino. Il futuro stesso delle genti di montagna, e del loro stile di vita.

Per un paio d’ore, dal piccolo palco montato sotto la statua di Dante, i vari capetti delle istituzioni locali dicono la loro. La Comunità di valle. Gli Allevatori. I Caseifici. La Coldiretti. Gli Schützen. Molto apprezzata Caterina Dominici - a Trento si dice “la Caterina”, con l’articolo – ex consigliera provinciale del Partito autonomista trentino tirolese, che si fa vanto di aver messo a tacere Michela Brambilla durante una puntata di “Diritto e Rovescio”. Man mano che gli oratori si susseguono, tutto si trasforma in una manifestazione di orgoglio locale. Un Trentino Pride. I toni si fanno poetici. “Poche bale, abbiam ragione noi” “I trentini sono sempre i primi ad aiutare i popoli colpiti dai terremoti”. “Fino a cinquant’anni fa eravamo una terra poverissima”. “Ah, il lavoro nei nostri avi…” “Ah, ci vorrebbe più buonsenso” “Siamo sicuri che Andrea ci sta guardando, da lassù”. Ormai è mezzogiorno. Gli altoparlanti ora sparano a tutto volume il vecchio “Inno al Trentino”, in una versione cantata da una corale di montagna. “Un popol tenace produce la terraaaa… che indomiti sensi nel cuore riserbaaaa…”. La gente, piano piano, inizia a sciamar via. Una signora bionda tiene il ritmo, con il suo campanaccio.

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