Una ciclovia in Trentino (Ansa) 

crisi sociale

La demografia si può cambiare. Numeri e storie dal Trentino-Alto Adige

Roberto Volpi

Mentre da qui ai prossimi anni si prevede un calo generale della popolazione italiana, Trento e Bolzano cresceranno del 3%: due modelli virtuosi da studiare meglio

C’è chi la sfanga. Tra le ripartizioni, le regioni, le città italiane c’è chi dalla grande recessione demografica nella quale già siamo e nella quale ben più minacciamo di sprofondare nel futuro immediato e meno, riuscirà in qualche modo a saltarci fuori. E, qui è la sostanza, (a) non si tratta di eccezioni isolate e (b) queste non eccezioni, dal momento che sono abbastanza numerose, sono sostanzialmente concentrate in un’area geografica ben precisa, che chiameremo “dorsale nord”, che scende dal Trentino-Alto Adige in Lombardia e da questa in Emilia Romagna, interessando pezzi di Veneto. 


Teniamoci alle previsioni al 2031, di recente calcolate dall’Istat, le più ravvicinate e dunque le più sicure. In un quadro in cui l’Italia a quella data perde circa 1,5 milioni di abitanti, pari al 2,5 dei suoi poco meno di 59 milioni attuali, la Lombardia accusa una perdita irrilevante dello 0,3 per cento; meglio va all’Emilia Romagna che aumenta la sua popolazione dell’1,1 per cento e ancor meglio al Trentino-Alto Adige che guadagna il 3 per cento.


Da qui al 2031 delle 107 province italiane 14 aumenteranno gli abitanti mentre altre 12 accuseranno perdite minime di meno dell’1 per cento. Di queste 26 province con aumenti o perdite minime di abitanti 19 sono al Nord, 6 al Centro, solo una – Ragusa – nel Mezzogiorno. Una analisi più precisa ci dice ancor meglio che: entrambe le province del Trentino, ben 8 province su 9 dell’Emilia Romagna (con la sola esclusione di Ferrara, depressa demograficamente da almeno trent’anni), 5 su 12 della Lombardia, con Milano in testa, e 3 province su 7 del Veneto – e qui è Verona a tirare la volata – sono quelle demograficamente virtuose, quelle che la sfangheranno. Non una delle province del Piemonte e della Liguria figura in questo elenco. Male Torino ma anche Venezia, peggio Genova. Il Nord è tutt’altro che omogeneo dal punto di vista demografico, se ne prenda atto. E si prenda atto delle specificità che consentono in certe province e regioni di reggere più o meno bene all’onda lunga dello spopolamento.


Solo il Trentino Alto Adige, della virtuosa dorsale nord, può vantare una superiorità anche sul piano della natalità. Ma in generale la superiorità demografica di quest’area, che si traduce in una sostanziale tenuta dei suoi abitanti, riposa su due elementi (1) una forte capacità attrattiva soprattutto verso l’esterno ma anche verso le altre regioni italiane che si unisce a (2) una reale, ancorché senz’altro migliorabile, capacità di integrazione di quanti stabiliscono qui la propria residenza arrivando dall’estero e da altre regioni italiane. I due elementi procedono normalmente di concerto, giacché non terrebbe la capacità attrattiva in mancanza di quella di integrazione; ma conviene ricordarli separatamente per rimarcare quella che è una caratteristica fortemente risolutiva, demograficamente parlando, del Trentino, di vaste aree della Lombardia e del Veneto e più particolarmente ancora dell’Emilia Romagna: quella di offrire innanzi tutto possibilità e spazi di lavoro dipendente e autonomo agli immigrati e agli italiani che cambiano regione di residenza. La più generale integrazione culturale procede infatti dall’integrazione in ambito lavorativo e professionale senza la quale, per parodiare, tutti i salmi finiscono in gloria.


Entro il 2070 la Lombardia perderebbe 2,7 milioni di abitanti e l’Emilia Romagna 1,4 milioni, rispettivamente poco meno e poco più del 30 per cento delle loro popolazioni. Mentre ne perderanno solo 700 e 300 mila, ovvero tra il 7 e l’8 per cento degli abitanti attuali, grazie, complessivamente parlando, a quasi 2 milioni di stranieri e un milione di italiani provenienti dalle altre regioni che vi si trasferiranno. Bologna, Modena e Parma; Milano e Monza; Verona e Treviso, solo per citare alcune realtà provinciali: terranno perché (e finché) sapranno aprirsi al mondo, offrire possibilità di lavoro e prospettive di integrazione nel tessuto abitativo-culturale. Senza, precipiterebbero come già sta succedendo al Mezzogiorno. Il controllo e prima ancora la capacità di integrazione dei flussi migratori rappresentano dunque una scialuppa di salvataggio per l’Italia che verrà. Non la sola sulla quale insistere, ma quella dalla quale non si può prescindere. Chiunque governerà non potrà non tenerne conto.

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