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A Napoli l'ammuina per i panni stesi al sole, diventati bandiere identitarie

Antonio Gurrado

Quando politica e opinionisti vengono messi alla prova dal “gocciolamento”

C’è sempre qualcuno secondo il quale, per far capire Napoli, bisogna portare i turisti a vedere non il Maschio angioino né Castel dell’Ovo bensì i panni stesi nei vicoli ad asciugare. Da ieri lo sostengo anch’io, anzi, rincaro dicendo che guardando quei panni stesi si capisce non solo Napoli ma il senso complessivo della cultura politica in Italia. È accaduto che sul Corriere della Sera, dorsetto campano, trapelasse una bozza di regolamento della polizia urbana dove, all’articolo 11 comma E, veniva introdotta la proibizione di stendere panni “alle finestre, sui terrazzi e balconi prospicienti la pubblica via quando ciò provochi gocciolamento”.

    
Interessante specificazione, quest’ultima. In queste poche righe si trova infatti concentrato, di là dalla consueta patina linguistica burocratese che ambisce a nobilitare le faccende triviali di cui si occupa, un formalismo che forza e scardina i confini dell’ottuso. Preso alla lettera, in effetti, il regolamento sottintende che per le locali forze dell’ordine sarebbe comunque rimasto consentito lo stendere panni asciutti, quando non gocciolassero limitandosi a garrire sotto il sole che benedice la città.

  
Già mi figuravo le indagini della polizia intenta a saggiare il grado di umidità dei bucati, nonché le diatribe con cittadini lesti ad argomentare di averli stesi prima di lavarli, in stretta osservanza della legge; quand’ecco giunge notizia della levata di scudi collettiva contro la normativa. Sollevazione popolare, i panni stesi non si toccano. La reazione è culminata in una protesta della sinistra estrema, che è andata a stendere panni multicolori proprio davanti al Comune, in piazza Municipio, nel consueto impeto di ripicca adolescenziale: lo stesso che a Modena l’aveva portata a organizzare dei kiss-in sotto casa di Giovanardi, quando aveva protestato per delle pubbliche effusioni troppo ardite, o che sulla costa catanese l’aveva spinta ad accogliere gli immigrati della Diciotti, disperati per la fuga e rivoltati dal mal di mare, recando vassoiate di arancini frittissimi come se fossero a un aperitivo in terrazza da amici.

 
La dirompente azione rivoluzionaria partenopea è stata dunque compiuta in spregio all’ovvia evenienza che, se uno davvero si azzarda a stendere panni in quella piazza così vicina al traffico, la prima cosa che gli conviene fare è rimetterli subito in lavatrice o, suggerisco, non indossarli mai più. Come sempre, però, conta il pensiero. Probabilmente persuaso dal gesto dimostrativo, il sindaco Manfredi ha posto fine alla disputa con la propria autorevole parola: dichiarando che i panni stesi nei vicoli “sono un elemento di rappresentatività della nostra città” e, come tali, vanno preservati. Di conseguenza la norma incriminata è stata espunta dalla bozza di regolamento, per la gioia unanime di maggioranza, opposizione, ex sindaci tipo De Magistris, oscuri utenti dei social, intellettuali veri e sedicenti tali. Il famoso gocciolamento resta consentito. Evidentemente quella che cade sui passanti sembrerebbe essere acqua, tangibile e bagnata, ma in realtà è solo un elemento rappresentativo.

 
Questo mostrerei al turista che accompagno nei vicoli: il fatto che a Napoli si fanno solo bucati simbolici. Alla polizia, alla sinistra radicale, al sindaco e a tutti gli altri non sembra essere venuto in mente che i panni stesi non sono né un fattore allegorico né un oggetto decorativo, non sono una ridotta del pittoresco né una messinscena postmoderna. Sono panni stesi ad asciugare su strade magari sporche perché la gente dei vicoli non ha spazio per metterli altrove; e così, caro turista, tutta la politica italiana si avvita sulle questioni sottraendole al contesto concreto per trasformarle in bandiere da sventolare, in panni identitari da stendere in pubblico a beneficio di opinionisti e creduloni. Poi chissà se un domani i napoletani riusciranno finalmente ad avere governanti meno portati alla metafora; qualcuno, insomma, che garantisca più asciugatrici per tutti.

 

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