Il giudizio universale a mezzo stampa è uno sport globale. Ma l'idea di Rep. di imbastirlo con gli scrittori milanesi è bizzarra. Soprattutto se si tratta di raffinati intellettuali come Bazzi, che dice: “Se su un autore, anche dopo la sua morte, anche dopo averlo letto, scopro qualcosa, il giudizio sulla sua opera deve cambiare alla luce di quello che è emerso”.
Chissà come rimarrebbe male Jonathan Bazzi, dovesse mai scoprire che l’Ingegner Gadda, oltre che borghese ossessionato dal decoro, era non soltanto uno spigoloso misantropo ma proprio un misogino della più bell’acqua, in privato; e che peggio, sul fronte letterario, di un personaggio femminile poteva scrivere “tipicamente centrogravitata sugli ovari” e altre amenità. Cosicché il Bazzi non potrebbe più leggere avanti nell’opera del Gran lombardo. Chissà come rimarrebbe male se dovesse mai scoprire che gli Scapigliati, orgoglio milanese della letteratura scagliata contro tutti i pregiudizi, erano una banda di mesti misogini (nessuna donna tra loro: quote rosa, a noi!) e dunque da infilare, pure loro, nell’indice dei libri proibiti. Il giudizio universale a mezzo stampa è lo sport globale del secolo, ma anche la versione local non si fa mancare niente. Talché le pagine di Milano di Rep. si sono fatte venire in mente l’idea, un poco bizzarra, di sottoporre Philip Roth al giudizio etico degli “scrittori milanesi”. E dunque il Bazzi, oriundo come il Davigo lomellino: “Se su un autore, anche dopo la sua morte, anche dopo averlo letto, scopro qualcosa, il giudizio sulla sua opera deve cambiare alla luce di quello che è emerso”.
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