(foto EPA)

L'ingorgo nel canale di Suez

Stefano Cingolani

L’incidente della Ever Given inceppa la globalizzazione e la catena mondiale del valore

Un’arteria fondamentale dell’economia mondiale passa per il canale di Suez, ora quella arteria è ostruita e lo sarà per settimane forse per mesi. Quando si parla di globalizzazione tutti pensiamo ai voli aerei, ma se questo è vero per le persone, non lo è per le merci che sono l’alfa e l’omega del mercato mondiale. E le merci viaggiano via nave. La marina, superata dall’aviazione nei giochi di guerra, resta dominante nei giochi dello scambio. Una balena d’acciaio lunga 400 metri, la portacontainer Ever Given, proprietà della compagnia taiwanese Evergreen (numero quattro al mondo in questo campo), s’è incagliata all’imbocco del canale di Suez e non riesce più a muoversi. I tentativi di liberare la prua con le ruspe finora sono falliti, secondo i tecnici ci vorranno settimane prima di togliere il tappo che interrompe un enorme flusso di merci, alcune delle quali di primaria importanza. Di lì passa il 30 per cento dei container, il 10 per cento delle merci, il 4,4 per cento del petrolio.

Secondo l’agenzia Bloomberg il danno economico potrà arrivare a 9,6 miliardi di dollari al giorno: 5,1 miliardi per i paesi del Mediterraneo che sono i più esposti e il resto per i paesi asiatici. L’amministratore delegato della Ducati, azienda controllata dalla Volkswagen-Audi ma che produce le sue moto a Bologna e vende bene in oriente, intervistato dal Wall Street Journal, si mette le mani nei capelli. I suoi clienti subiranno un ritardo preoccupante e, in un mercato ipercompetitivo dove dominano i godzilla giapponesi i danni potrebbero essere persino irreversibili. La birreria olandese Heineken tiene d’occhio la situazione, ma pensa di avere abbastanza scorte. Moto e birra provocano disagi marginali rispetto al petrolio: è l’industria elettrica a suonare il campanello d’allarme. Le mega navi in coda (oltre 300) stanno facendo macchina indietro e si vedono costrette a seguire la rotta più lunga circumnavigando l’Africa. I porti di partenza e di arrivo sono Singapore e Rotterdam, passando per Suez ci vogliono in media 34 giorni (la lunghezza è di 8.301 miglia marine), doppiando il Capo di Buona Speranza, invece, occorrono 43 giorni. 

 

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Non solo. Rotterdam è già intasato, lo stesso vale per Amburgo; nel momento in cui dovesse arrivare tutto quel traffico extra sarebbe difficile smaltirlo. E’ probabile che alcune compagnie si rivolgano altrove, ma non sono molti i porti attrezzati per ricevere simili colossi del mare. Molti già parlano di un effetto farfalla, dalla finanza all’economia reale. Protezionisti, sovranisti, no global sono pronti a inzuppare il pane. Chi ha memoria storica ricorda che il blocco di Suez manu militari nel 1956 fu la pietra tombale del colonialismo europeo, Francia e Regno Unito (allora sostenuti da Israele) seppellirono nelle sabbie i loro sogni di gloria quando contro di loro si schierarono Stati Uniti e Unione Sovietica in appoggio all’Egitto. Adesso stiamo assistendo alle contorsioni del capitalismo multinazionale? Teniamo i piedi per terra, tuttavia l’incidente ripropone quel ripensamento sulla catena mondiale del valore già in corso e reso urgente dalla pandemia. Dal just in time al just in case è la nuova parola d’ordine, ciò significa mettere l’accento sulla protezione dai rischi e sulla necessità di mantenere scorte anche a rischio di immobilizzare capitali. Il mondo dell’energia lo ha già interiorizzato, lo sta comprendendo anche la sanità. Niente autarchia, nessuno può produrre in casa tutto quel che serve, ma la macchina mondiale si sta sempre più articolando su base locale o meglio per ampie aree geo-economiche. La chiglia incastrata della Ever Given potrà servire anche a questo.

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