La flat tax è ideologica?

Carlo Stagnaro

Una chiosa a Alberto Bisin

La flat tax è ideologica? E’ questa l’accusa mossa da Alberto Bisin che, in un intervento su Rep, ha commentato la proposta dell’Istituto Bruno Leoni. A Bisin hanno risposto Nicola Rossi e Dario Stevanato, ciascuno su aspetti specifici della sua critica. Vorrei aggiungere alcune considerazioni.

Alberto riconosce che la flat tax – nella versione dell’IBL – “ha vari aspetti positivi” ma “non configura certo un sistema fiscale ottimale”. In particolare, il ragionamento segue due filoni: uno che potremmo chiamare “tecnico” e uno “politico”.

Le obiezioni tecniche riguardano, tra l’altro, il disegno del “minimo vitale” e il finanziamento dei servizi pubblici a carico dei titolari di redditi più elevati. Si tratta in buona parte di osservazioni assennate che possono aiutare a migliorare la proposta, senza metterne in discussione l’impianto.

Mi interessa di più la fondamentale obiezione politica: la proposta “risente di un forte impianto ideologico di stampo liberista, laddove limita fortemente la progressività delle imposte e presuppone una improbabile riduzione delle spese indotta da minori entrate”.

In sé, è un argomento debole: potrei replicare che la flat tax è comunista, tant’è che l’imposta sul reddito dei lavoratori dipendenti nell’Unione Sovietica prevedeva una moderata progressione delle aliquote da 0 a 13 per cento fino a 12.000 rubli, e da lì all’infinito restava flat (ben diverso era il destino di altre categorie, che erano chiamate a pagare aliquote fino al 65 per cento: il contrario dell’attuale sistema italiano dove i redditi diversi da quelli di lavoro sono tassati con aliquote piatte e normalmente inferiori all’Irpef) (vedi tabella; fonte).

Non vale neppure l’obiezione che la flat tax limiterebbe la progressività; o, almeno, occorre chiedersi “rispetto a cosa”. Certo non rispetto al sistema attuale (ce ne siamo occupati con Luciano Capone qui e qui). Forse un “sistema fiscale ottimale” avrebbe caratteristiche di progressività – o dal lato del prelievo o dal lato della spesa – ancora più marcate, ma in primo luogo tale sistema andrebbe descritto, altrimenti non si capisce di cosa stiamo parlando (in parte lo ha fatto Nicola Rossi, con risultati divertenti).

L’accusa più forte di Alberto è però quella di muovere da una logica di “starve the beast”. In breve, dice Bisin, il sistema Ibl implica una riduzione del gettito complessivo delle imposte (stimato da Ibl in circa 30 miliardi di euro annui a regime). Sotto questo profilo, non v’è dubbio che la proposta abbia una forte curvatura liberista: poggia sul principio che lo Stato dovrebbe fare meno cose, e quantifica questo “meno” in circa due punti di Pil. Ma, dal punto di vista dell’attuazione, la sequenza logica non è riduzione delle imposte --> starve the beast --> taglio delle spese (che, ha ragione Alberto, rischierebbe di tradursi in più deficit e più debito, come avvenne negli anni berlusconiani).

L’approccio è esattamente l’opposto: taglio delle spese --> taglio delle tasse, allo scopo di continuare a rispettare il vincolo di bilancio. In breve, nella logica Ibl, non sono le minori entrate a indurre minori spese, ma la revisione della spesa a consentire l'abbassamento della pressione fiscale. 

Forse la critica di Alberto si appunta sulla strategia di comunicazione, che si è soffermata sul disegno del sistema e meno sulle modalità di finanziamento delle necessarie coperture: ma ciò non implica che il tema delle coperture sia stato ignorato, anzi. In ogni caso, anche questo è un tema secondario rispetto alla radicale proposta di cambiamento del sistema tributario: la flat tax è tranquillamente compatibile con l’attuale livello di spesa pubblica, a patto di adeguare l’aliquota (a occhio e croce, 26 o 27 per cento).

In sostanza, Bisin ha ragione nel dire che “25 x tutti” muove da una logica liberista, ma ha torto nell’inferire che la sua eventuale adozione scasserebbe i conti pubblici. Ha ragione (forse) nel dire che limita la progressività rispetto a un non-definito sistema ottimale, ma ha torto se intende che la limiterebbe rispetto allo status quo.

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