Dino Cofrancesco

Anche le libertà sacre possono essere contraddette dal voto democratico

Valerio Onida*

Replica costituzionale al prof. Cofrancesco 

Sono d’accordo sul fatto che la Costituzione debba ispirarsi a princìpi condivisi, se non da “tutto il popolo”, quanto meno dalla sua larga maggioranza, indipendentemente dalle specifiche “preferenze” politiche, e iscritti “nella sua etica pubblica”. Osservo però che i “diritti sociali”, i doveri di solidarietà, l’eguaglianza non solo formale, a settant’anni dalla Costituente, fanno parte, nei loro tratti fondamentali, di un patrimonio comune, e non solo di uno specifico programma politico (questo può riguardare le modalità della loro traduzione in concreto nelle leggi). E’ ben vero che storicamente, quando sono nate le costituzioni che hanno segnato le tappe fondamentali del progresso civile, spesso vi erano ancora, nelle relative società, settori più o meno ampi che ideologicamente si ispiravano a principi diversi e talora anche opposti a quelli da esse affermati, così che l’avvento delle costituzioni ha segnato una discontinuità, destinata però a consolidarsi nel tempo. Quando è nato lo stato liberale, anche le “libertà civili e politiche” (quelle che, tu dici, sono “sacre e indisponibili per tutte le famiglie ideologiche di un sistema politico democratico”), nella società dell’epoca non erano unanimemente condivise. La libertà religiosa trovava ad esempio resistenze in considerevoli strati della società legati a concezioni confessionistiche. Perfino la fondamentale eguaglianza di tutti gli esseri umani era di fatto negata da chi (ancora per cento anni dopo la Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti) ammetteva e praticava la schiavitù.

  

  

  

Il principio costituzionale dell’eguaglianza senza distinzione di razza si è scontrato per secoli con resistenze e pregiudizi, finché non un voto del Congresso americano, ma, prima, le sentenze della Corte Suprema (quei “tribunali” cui tu vorresti impedire da far valere i princìpi costituzionali) lo hanno affermato per tutti. Senza dire che nella storia delle Costituzioni alcuni principi proclamati nelle Carte si sono affermati di fatto solo nel tempo, dopo essere rimasti a lungo dimenticati e contraddetti dalla legislazione ordinaria: basti pensare all’estensione del diritto di voto. E’ vero che, nell’esperienza storica delle democrazie di massa, accade talvolta che il voto o il consenso popolare tendano a tornare indietro nel tempo e anche a rinnegare radicalmente conquiste costituzionali già raggiunte. E’ per questo che nelle costituzioni del secondo dopoguerra, e non a caso prima di tutto nei paesi (Germania e Italia) che avevano conosciuto una involuzione autoritaria e anticostituzionale, sostenuta e resa possibile da un consenso di massa, si è sentito il bisogno di garantire la Costituzione anche contro le decisioni delle maggioranze del momento, attraverso l’opera di appositi giudici, le Corti costituzionali, che a qualcuno sembrano invece degli intrusi rispetto ai meccanismi della democrazia parlamentare. Il fatto è che l’occasionale formarsi di maggioranze elettorali e parlamentari, spinte dagli “umori” degli elettori o di una parte di essi, può talvolta effettivamente ergersi anche contro la Costituzione, quello strumento, come è stato detto, che i popoli si danno nel momento della saggezza a valere per il momento della confusione. Ma da questo punto di vista non solo i diritti sociali, bensì anche quelle che tu chiami “libertà sacre e indisponibili” possono rischiare di essere contraddette da voti “democratici”: basta pensa alle spinte che in situazioni di tensione e di conflitti talvolta si manifestano nella direzione dell’abbandono o dell’attenuazione di garanzie fondamentali di libertà. Poi, certo, è vero che, se un popolo ne rinnegasse in massa i principi, la Costituzione non reggerebbe. Nella storia ci sono anche i regressi, oltre che i progressi. Ma alla lunga le conquiste fondamentali dell’umanità, frutto di millenni di storia, ed espresse nei princìpi costituzionali, restano e si consolidano.

  

Nel mondo e nell’Europa del XXI secolo, in cui le costituzioni (non solo la nostra) non si limitano a ribadire le classiche libertà civili e politiche, ma espressamente definiscono “sociale”, oltre che “democratico”, lo stato (vedi l’art. 1 della Costituzione francese e l’art. 20 della Costituzione tedesca); sanciscono i diritti sociali (anche gli articoli da 22 a 26 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo affermano i diritti al lavoro, all’equa retribuzione, alla sicurezza sociale, e così via); affermano la necessaria funzione sociale della proprietà (secondo l’art. 14 della Costituzione tedesca “La proprietà impone degli obblighi. Il suo uso deve al tempo stesso servire al bene comune”): in questo mondo e in questa Europa, dunque, vogliamo davvero tornare indietro di più di due secoli?

              

Valerio Onida
presidente emerito della Corte costituzionale

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