Foto Ansa
(1934-2025)
Broncio eterno, capelli spettinati, camicie annodate sotto il seno. E il cinema creò Brigitte Bardot
Da Saint-Tropez a Marianne, l'attrice ha cambiato il desiderio prima ancora del cinema: adolescente, libera, indocile. Sexy senza maggiorate, icona senza pentimenti, star globale e poi eretica animalista. Una donna che non ha mai chiesto scusa
In un romanzo che ormai nessuno legge più – sono mille pagine di cinema, gnosi, teoria del complotto, una sorta di “Codice Lumière” – un giovanotto spiega il successo dei film francesi e italiani negli Usa. Dice: le attrici erano sexy e a differenza delle star americane davano l’impressione che sotto i vestiti ci fosse qualcosa. Che fossero spogliabili, mentre le americane sembravano saldate ai loro tailleur. Brigitte Bardot era la prima della lista. La prima a ribaltare tutto quello che si chiedeva a una donna sullo schermo del cinema. Broncio eterno, capelli spettinati, scarpe basse (la premiata ditta Repetto fornì le ballerine rosse, modello Cendrillon, sfoggiate nel film “Et Dieu… créa la femme”, diretto nel 1956 da Roger Vadim). Camicie annodate sotto il seno, shorts a quadretti Vichy e il fisico per indossarli: non era roba da maggiorate. La femmina Brigitte era moderna, scattante, libera, più vicina all’adolescenza che alla maturità. E francese.
Era una ragazza di buona famiglia cattolica, nata a Parigi nel 1934. Aveva studiato danza classica, a 15 anni cominciò a fare la modella e nel 1950 era sulla copertina di Elle (la direttrice era amica di famiglia). “Piace a troppi” è il titolo che la bigotta Italia aveva scelto al posto dell’originale “Et Dieu… créa la femme”. Girato a Saint Tropez, fece diventare Brigitte Bardot una star internazionale (assieme alla cittadina di pescatori che avrebbe reso famosa, vivendo a La Madrague con un turbinio di fidanzati). Ne risultò, parecchi anni dopo, un battibecco con il sindaco in carica: “Madame Bardot si lamenta per il rumore e il traffico? Qui vivevamo tranquilli, prima di lei”.
Simone de Beauvoir scrisse su Esquire nel 1959 “Lolita Syndrome”: gioventù e bellezza non erano ancora, per gli intellettuali, delitti da sorvegliare e punire, l’articolo era illustrato con le fotografie di Richard Avedon. Il successo del film diretto da Roger Vadim, che allo scoccare della maggiore età di lei l’aveva sposata, mise Bardot nella lista delle attrici francesi da scritturare. Ebbe successo all’estero prima che in patria, poi i registi fecero a gara. Claude Autant-Lara la volle in “La ragazza del peccato”, da un romanzo di Georges Simenon (complice in una rapina, è troppo povera per pagarsi l’avvocato Jean Gabin, quindi se lo porta a letto). Jean-Luc Godard la scritturò per “Il disprezzo”, dal romanzo di Alberto Moravia. Luis Malle la fece recitare accanto a Jeanne Moreau in “Viva Maria!”: due spogliarelliste nel Messico della rivoluzione.
Nel 1969 diventò Marianne, simbolo della Francia. Nel 1973 si ritirò, dedicandosi alla causa animalista con una Fondazione finanziata dalla vendita all’asta dei suoi gioielli e dei suoi oggetti personali. Sue anche le parole: “Ho dato la mia bellezza e gioventù agli uomini, la mia esperienza e la mia saggezza sono per gli animali”. Accusata di odio razziale verso i musulmani, fu più volte condannata. Quanto al #MeToo, ribaltò l’accusa contro le attrici che denunciavano: “Ipocrite, ridicole, poco interessanti”.