nuovo cinema mancuso

Un semplice incidente

La recensione del film di Jafar Panahi, con Ebrahim Aziz, Hadis Pakbaten, Majid Panahi

Mariarosa Mancuso

A Jafar Panahi – per molti anni la sedia lasciata vuota ai festival, il regime iraniano non lo lasciava uscire dal paese e gli aveva vietato di dirigere film – basta pochissimo. Era riuscito a girare “This is not a film”, anno 2011, quando si trovava agli arresti domiciliari. “Un semplice incidente”, obbligato all’economia di mezzi – buio, deserto, un po’ di sfondi cittadini “rubati” – non lo è dal punto di vista narrativo. Un uomo investe un cane randagio, viaggiando di notte in certe strade sterrate e piene di buchi. Cercando aiuto, finisce in un piccolo spaccio. Vahid lo osserva, e di nascosto e lo segue. Ha intenzione di rapirlo – prima lo ha tramortito con la portiera del minivan. Ora lo vorrebbe portare in un luogo deserto e seppellirlo vivo. Ha riconosciuto il suo torturatore “Gamba di legno” – ha una protesi, ha perso la gamba in un incidente con una mina in Siria. Però gli viene un dubbio: e se non fosse lui? Va quindi a cercare altre vittime del torturatore, per farsi aiutare nel riconoscimento: una fotografa di matrimoni, al lavoro con una coppia che sta per sposarsi (e ha tenuto nascoste molte cose al futuro marito). L’ex fidanzato della fotografa, furioso più di tutti: ucciderebbe il presunto torturatore senza farsi troppe domande. Jafar Panahi non sbaglia un colpo. I dialoghi sono naturali, tutti parlano senza lasciar finire gli altri, lascia moralismo e lezioncine ai registi meno bravi di lui.

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