
Alla festa del Cinema
Originale e ben riuscito, il documentario sulla Prima alla Scala è da festival
"La Forza del destino" ci fa entrare lì dove entrano solo gli addetti ai lavori, dietro le quinte e dentro i laboratori. La regista Anissa Bonnefont osserva il lavoro di tutti, e lo riprende così bene da eliminare la voce fuori campo
Come deve essere un documentario da festival? Da Festa del Cinema di Roma per essere precisi: la manifestazione ha vent’anni, ma ha cambiato nome più di una volta. Prima era Festival, poi Festa, poi di nuovo Festival, variando le proporzioni tra passerella, concorso per opere prime e seconda, nuovi film di giovani registi ma senza gara, restauri, omaggi, e documentari. Sempre all’Auditorium (quest’anno più che mai irraggiungibile) e in altri cinema romani. Il Teatro della Cometa, appena fatto restaurare da Maria Grazia Chiuri, ha ospitato la proiezione di “C’era una volta in America”: Sergio Leone aveva ricostruito lì la fumeria d’oppio.
Un documentario da festival del cinema deve essere come ogni altro documentario dovrebbe essere (noi viviamo di delusioni). Originale nel tema – l’amicizia tra l’uomo e un polpo vinse un meritatissimo Oscar, qualche anno fa. Deve farci entrare dove entrano solo gli addetti ai lavori. Per esempio dietro le quinte e dentro i laboratori del Teatro alla Scala dove si preparava “La forza del destino”. Regia di Leo Muscato, direttore d’orchestra Riccardo Chailly, maestro del coro Alberto Malazzi, prima donna Anna Netrebko, Federica Parolini scenografa, Silvia Aymonino costumista, e altri 900 lavoratori scaligeri.
Tutto deve funzionare alla perfezione per il 7 dicembre 2024. La regista del documentario Anissa Bonnefont osserva il lavoro di tutti, e lo riprende così bene da eliminare la voce fuori campo – croce di tanti documentari che con voce impostata spiegano quel che uno capirebbe da sé, se le immagini parlassero. E non fossero invece utili soltanto a suggerire che il regista è una personcina convinta di avere un gusto raffinato – ma ahimè ha un senso estetico da calendario illustrato, se non da scatola di cioccolatini.
La voce fuori campo è superflua e addirittura dannosa, se le immagini sono ben girate e montate, come nel caso di questa “Forza del destino”. Era lo scorso 16 ottobre alla Festa del cinema, e il 20 al Teatro alla Scala. Poi andrà a Los Angeles per l’American French Film Festival, e il 2 novembre sarà proiettato nei cinema in Francia. Il 6 dicembre sarà sulla Rai, alla vigilia della prima 2025, con “Lady Macbeth del distretto di Mcensk”: opera di Shostakovich ispirata al romanzo di Nikolaj Leskov – già diventato un bellissimo film di William Oldroyd con Florence Pugh.
Il documentario inizia 75 giorni prima della prima. Vediamo le prove del coro e del corpo di ballo, la costruzione della scenografia mobile: i movimenti dei cantanti devono tener conto del palcoscenico che ruota. 70 giorni prima si provano le parrucche, e bisogna trovare un bambolotto per una “natività” sul campo di battaglia. Le scena susciterà proteste, il parto è considerato troppo realistico e drammatico, darà problemi anche dopo i cambiamenti. Meglio non rischiare, si sa come vanno queste cose: mesi e mesi di lavoro, poi tutti vedono soltanto lo scandaloso dettaglio. Si fanno le prove del sipario, oltre che dei movimenti di scena: il maestro Riccardo Chailly vuole che cada con un suono sordo.
Finora i cantanti hanno provato con i loro abiti addosso. 15 giorni prima si cerca e si trova la pistola che sparerà a salve, e spunta un bel vestito rosso. Il regista Leo Muscato mostra i movimenti e illustra le posizioni (intanto sono arrivate le macerie e certi tristi alberelli). Il maestro Chailly fa le sue prove, dirigendo i cantanti e l’orchestra. La messa in scena procede da una guerra all’altra, Leonora invoca la pace. Per la sera della prima, il velluto delle poltrone viene spazzolato e il teatro si riempie di fiori. I carcerati davanti alla tv si alzano in piedi per l’inno di Mameli.