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La Festa del Cinema di Roma tra déjà vu e provincia
Stessi manifesti inneggianti a Federico Fellini con la sciarpa svolazzante, la quarta stagione della serie “Vita da Carlo” con Carlo Verdone e la stessa antipatia di maschere e spettatori. In apertura c'è "La vita va così" di Riccardo Milani (non in concorso)
Ritorno alla Festa del Cinema di Roma, la prima impressione è che si tratti di un déjà vu. Stessi manifesti inneggianti a Federico Fellini con la sciarpa svolazzante. La quarta – quarta – stagione della serie “Vita da Carlo” con Carlo Verdone, che questa volta viene richiamato da Nizza per una cattedra al Centro Sperimentale di Cinematografia (era in esilio causa #Me Too). Stessa antipatia di maschere e spettatori. Gli addetti alle sale pretendono l’accredito al collo, anche se il biglietto per la proiezione ha il tuo nome stampato sopra. Una maestrina presente allo scambio certifica: “A Cannes non l’avrebbero fatta entrare”. Non ha mai visto un biglietto del Palais, ovvio: al massimo c’è stampata la categoria dell’accredito. Nulla è cambiato, il più provinciale dei festival si misura con il più grande e antico.
A proposito di provincia, la Festa presenta in apertura “La vita va così” di Riccardo Milani, regista di “Come un gatto in tangenziale” (non è in concorso, sarebbe un bell’imbarazzo: la moglie Paola Cortellesi a capo della giuria). Provincia sarda, spiaggia meravigliosa dove il pastore conduce le sue magre vacche, e per il resto mette pomodori in conserva. Un’azienda milanese vuole costruire un resort sul terreno della sua casupola, per godere della sabbia bianca e finissima. In paese hanno venduto, ma lui non molla. Ha tutti contro, anche chi spera nel resort per avere finalmente un lavoro vero, ma il pastore dice sempre no. Nel film gli offrono milioni e altri milioni – arrivano a 12 – ma lui ha una sola parola “no”. E’ una storia vera durata anni, e non è ancora finita. Il vero pastore Ovidio Marras è morto lo scorso anno, povero con dignità si usa dire. La società milanese è fallita. E’ successo a Teulada, dove la troupe – dicono loro – è stata accolta freddamente. Non troppo, poi è riuscita a girare dove voleva, e dove il pastore ha riavuto lo “stradello” per portare al mare le sue mucche. Quello che vediamo nel film si chiama Giuseppe Ignazio Loi, di anni 84.
Tutti felici, tutti entusiasti. Il pastore tiene testa da solo alle ruspe e al progresso, al lavoro per i giovani, allo sviluppo e alla modernità, e all’acqua calda, e al dentista, a una dieta composta di soli pomodori, carciofi spinosi e formaggio con i vermi. Certo, è la terra dei centenari, ma chiedete a quelli che sono morti giovani, schiantati di fatica, di stenti e malattie. Per non parlare del freddo che entra nelle ossa, con il suo bel contorno di umido. I compaesani si convertono. Altro che lavoro, si contenteranno anche loro del sottosviluppo. Eppure anche il sindaco, il prete, e perfino il vescovo di Cagliari era arrivato a Capo Teulada per far cambiare idea al cocciuto pastore. Avanti così, che l’800 è dietro l’angolo.