Netflix restaura una sala storica di Roma. Sarà il cinema del Centro sperimentale

Giuseppe Fantasia

Il Cinema Europa torna a vivere. Fellini, la piattaforma americana e la città che resiste

A Roma, ogni palazzo ha almeno due storie: quella che racconta la sua architettura e quella che lo attraversa, giorno dopo giorno, nel silenzio dei muri. In Corso d'Italia, a pochi passi da Porta Pia, c’è un edificio che ne custodisce più di una. Lì, in un appartamento al primo piano, Federico Fellini aveva il suo studio romano: un interno borghese al primo piano, “bianco e spazioso” come lo definì Rosita Copioli, poetessa e sua confidente. Vi trascorreva giornate a disegnare, leggere, ascoltare i nastri di Rota. Pochi metri più in là, nello stesso stabile, c’era il Cinema Europa, una sala elegante, aperta nel 1927, pensata per un pubblico colto ma non elitario, frequentata da studenti e impiegati, amanti del cinema francese e intellettuali di quartiere. Come molte sale romane, ha resistito finché ha potuto, poi è scomparsa dal radar della città. La logica del multiplex e l’erosione dell’abitudine collettiva alla sala ne hanno decretato la fine. Negli ultimi anni, il suo nome circolava solo tra chi conosceva bene la mappa sentimentale del cinema a Roma.

  

Ora, l’Europa tornerà a vivere. A riportarla in vita sarà una collaborazione tra la Cineteca Nazionale e Netflix: una sinergia inedita, in cui l’industria globale incontra la memoria del cinema italiano. Non si tratta soltanto di restaurare uno spazio, ma di rimettere al centro una funzione: quella della sala come luogo di visione condivisa, esperienza comune e riflessione pubblica. Una scelta che assume un valore non solo simbolico, ma politico, se si considera lo stato in cui versano oggi molti spazi culturali nella capitale. Eppure, la rinascita dell’Europa si intreccia a una realtà più complessa. L’edificio negli altri piani è oggi occupato da circa 150 persone, tra italiani e stranieri, famiglie, rifugiati, senza titolo ma non senza storie. Un’occupazione che dura da anni, diventata parte del paesaggio urbano e oggetto di un dibattito politico acceso. Lo scorso giugno Fratelli d’Italia ha presentato una mozione — sia in Campidoglio sia nel II Municipio — per chiedere lo sgombero dell’immobile, richiamando una sentenza del 2017 mai eseguita. La riattivazione della sala, in questo contesto, potrebbe riaprire un dossier rimasto fino a oggi congelato. Resta da capire quale strada prenderà l’amministrazione Gualtieri: se quella della legalità intesa come evacuazione e restituzione dell’immobile, o se si tenterà una mediazione, una transizione più lenta, che tenga conto tanto delle esigenze culturali quanto di quelle sociali, considerando che la riqualificazione urbana, a Roma, è spesso una sovrapposizione di intenti inconciliabili.

 

Il ritorno del Cinema Europa, con Netflix e la Cineteca insieme, è pertanto una scelta che parla anche del futuro della cultura in Italia. Da un lato, il colosso americano che produce, distribuisce e ora cerca luoghi fisici per farsi vedere e ascoltare. Dall’altro, un’istituzione pubblica che custodisce l’archivio di un intero secolo di cinema italiano e che, troppo spesso, è rimasta confinata al ruolo di custode. Insieme, restituiscono senso a un’idea di cinema che non si esaurisce nel contenuto, ma abita lo spazio, convoca il pubblico, crea comunità. Che questa nuova sala sorga a pochi metri dallo studio dove Fellini pensava il paese come un sogno disordinato e barocco, non è un dettaglio, è una forma di continuità involontaria, forse, ma non per questo meno eloquente e Roma, seppure svuotata di funzioni e identità, conserva ancora intercapedini dove è possibile far riaffiorare il senso delle cose. Sta a chi la governa scegliere se abitarle o lasciarle franare.