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la parabola

Quando la forza della Disney era quella di costruire il pubblico del futuro

Mariarosa Mancuso

Quella visione si è persa nel tempo, diventando vittima di prequel,  sequel e vari spin-off. Da Biancaneve ai giorni nostri

Biancaneve e i sette nani” uscì nel 1938. Con strepitoso successo, dopo l’anteprima di Los Angeles a dicembre dell’anno prima. Il mondo del cinema aveva parecchi dubbi, un lungometraggio disegnato era una bizzarria. Il pubblico – e la critica, per una volta concordi – spinsero gli incacassi fino alla favolosa cifra di 8 milioni di dollari – era costato un milione e mezzo.

Oggi la ditta Disney avrebbe messo subito in cantiere sequel, prequel e vari spin-off (è quando un personaggio secondario diventa protagonista di un altro film: in tempi recenti abbiamo avuto le avventure solitarie di Buzz Lightyear “verso l’infinito e oltre”, nato in “Toy Story”). Magari la storia dei nani, oppure una app per trovare l’anima gemella. Allora il genio Walt Disney decise di non fare nulla. Tolse il film dalla distribuzione e aspettò.

Era convinto che di lì a qualche anno ci sarebbe stato altro pubblico bambino per il film. QUEL film: non una nuova versione attualizzata. Se vi torna in mente lo scempio perpetrato qualche anno fa con la nuova versione di “Cenerentola” in live action diretta da Kenneth Branagh con Lily James, o altri remake da brivido di orrore come quello del “Libro della Giungla”, sapete di cosa stiamo parlando. Capolavori di realistica animazione rifatti per adattarsi al gusto del giorno.

I bambini avrebbero sempre avuto voglia di vedere quella Biancaneve e i nanetti per contorno. Non le acrobazie della nuova “Biancaneve” di Marc Webb, preoccupata di nascondere i nanetti e con un’attrice che subito sconfessò il personaggio. Quella Biancaneve, che infatti fu riproposta al cinema nel 1944, nel 1952, nel 1958, e a vari intervalli anche dopo la morte di Walt Disney: 400 milioni di incasso, contro gli 8 della prima uscita.

Come “Biancaneve”, anche la storia di Pinocchio era di pubblico dominio. Stavolta non andò benissimo, il film era costato 2 milioni e seicentomila dollari, incassò un milione soltanto. Un disastro, sembrava. Ma Walt Disney continuò con la politica delle riedizioni, e il film continuò a maturare incassi. Peggio andò con “Fantasia”: il sacro della musica e il profano dei disegni animati – leggi: Topolino che tira la coda del frac al direttore d’orchestra Leopold Stokowski –  fu un disastro commerciale. Ora è il 23° miglior incasso di tutti i tempi.


Walt Disney aveva inventato il “Club di Topolino”, un programma tv in onda tutti i sabati. E anche i parchi con le attrazioni a tema – dai “Pirati dei Caraibi” nascerà il film con Johnny Depp: di solito accadeva il contrario, ma il pubblico premiò la novità. Sostiene però Ted Gioia – nel suo sito The Honest Broker (da leggersi come “lo spacciatore affidabile”) consiglia musica, libri e film, e fece una lista alternativa di Premi Nobel davvero meritevoli, ancora la ricordiamo con affetto – che il vero sogno disneyano si chiamava E.P.C.O.T.

La sigla sta per Experimental Prototype Community of Tomorrow. Era il progetto di una città futura altamente tecnologica – in Florida. Nessuno a Hollywood o fuori (parliamo di parchi giochi) ha mai eguagliato l’esperimento. Purtroppo, come vediamo nel film di Sean Baker “Un sogno chiamato Florida” – madre nubile e bambini vivono negli hotel in rovina, ma erano dipinti con colori da favola – il progetto è fallito. Meglio, non è come Disney l’avrebbe voluto: il progetto di una comunità nel futuro, continuamente aggiornato. Quindi sempre sul punto di avanzare e migliorare. Una sorta di Silicon Valley in Florida, anche se a quel tempo la Silicon Valley non esisteva. Neanche il termine “tech hub” esisteva ancora. Costruito non per fare profitti ma per il progresso dell’umanità.

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