
Ansa
Il mistero del principe
Quando si vuole sentire quella canzone lì, in quel momento lì. Ed è Francesco De Gregori
Cinquant’anni dopo “Rimmel”, che sta in tutte le playlist di tutti, vecchi e giovani, non solo del Novecento, il film musicale scritto e diretto Stefano Pistolini celebra il cantautore e la grande meraviglia del lavoro quotidiano
Avete ancora un giorno intero per vedere al cinema “Nevergreen”, su Francesco De Gregori, scritto e diretto da Stefano Pistolini (ne ha scritto Mariarosa Mancuso sul Foglio). Cinquant’anni dopo “Rimmel”, che sta in tutte le playlist di tutti, vecchi e giovani, non solo del Novecento, questo film celebra la grande meraviglia del lavoro quotidiano. Ogni giorno, suonare. Ogni giorno, cantare. Ogni giorno, quando si può, salire sul palco. Ogni giorno, pensarci. Ogni giorno, guardare un quadro e pensare a una canzone. Pensare alla musica, agli altri cantautori, pensare al pubblico che è lì che aspetta e che in questo film è il pubblico dei piccoli teatri, non è lo Stadio Olimpico. E’ come tornare al Folk Studio, è il ritorno nonchalante all’epica degli inizi.
“Avevo pochi anni, e vent’anni sembran pochi, poi ti volti a guardarli e non li trovi più”. Invece qui li trovi, caro “Bufalo Bill”. A parte il fatto che se non conoscete “Bufalo Bill” (questo è il film delle canzoni “nascoste” di Francesco De Gregori) forse è meglio un meteorite adesso, ma la giovinezza non passa quando fai e rifai quello per cui sei nato, quello che più di tutto ti muove il sangue nelle vene. Arriva Francesco De Gregori, nella sua sfolgorante bellezza di uomo con il cappello, arriva fintamente curvo e con una sigaretta in mano, e pensi: ecco il Principe (un Principe a Milano, all’Out Off di Milano, questa volta, ma con la sprezzatura di Roma in ogni gesto, in ogni breve camminata dietro le quinte), arriva e fa semplicemente quello che lui è: canta, dice due parole, presenta un amico che è arrivato per cantare con lui. Jovanotti, Zucchero, Ligabue, Elisa, Malika Ayane, guardano la scaletta, provano con umiltà.
Zucchero racconta che il Principe ha scritto “Diamante” (una canzone bella da piangere) in un’ora e mezza, chiuso in una stanza: Zucchero aveva la musica, una bella musica, ma non gli venivano le parole, allora ha raccontato al Principe che cos’aveva in mente, sua nonna, i partigiani, la campagna, e il Principe ha scritto: “Aspetterò che aprano i vinai. Più grande ti sembrerò. E tu più grande sarai”. Elisa racconta delle “lunghe mail di tre parole” di Francesco De Gregori, e intanto il risultato di queste unioni, di queste schermaglie, di questo sedere vicini a testa bassa con una chitarra in mano, è sempre qualcosa di grande.
Ci sono loro, i grandi, e ci siamo noi, il pubblico che ha bisogno di quella musica proprio in quel momento, e che ha voglia ogni volta di scoprire qualcos’altro, e quando De Gregori canta “Atlantide” sente zone di sé che tornano a casa. E poi il mistero: il mistero di una canzone che esce dalla radio per la prima volta e non sai che cos’è, perché è diversa, è diversa la voce e sono diverse le parole: Ligabue ascoltava “Alice” alla radio, da ragazzino, e sentiva il mistero (il mendicante arabo? I gatti che muoiono nel sole?) e quel mistero lo ha guidato fino a qui. Sono tutti grati al Principe, e in “Nevergreen” (Perfette sconosciute, ma io le sapevo tutte) siamo grati anche noi a questo mistero, e a questo film musicale.