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Ipnosi collettive alla Mostra del cinema di Venezia

Mariarosa Mancuso

Le migliori penne della nazione hanno riservato le parole più lusinghiere a “Elisa”, il film-saggio diretto Leonardo di Costanzo e alla sua attrice Barbara Ronchi. Sarà: a noi è sembrato uguale dall’inizio alla fine

Dopo l’epidemia di consensi per la bambina palestinese che chiede soccorso in “The Voice of Hind Rajab”, regia della tunisina Kaouther Ben Hania, il popolo della mostra di Venezia ha di nuovo perso la testa. Visto il film di Paolo Sorrentino “La Grazia”, visto il film di Luca Guadagnino “After The Hunt” (che era fuori concorso), visto pure un assaggio della serie di Marco Bellocchio su Enzo Tortora, le migliori penne della nazione hanno riservato le parole più lusinghiere a “Elisa”, il film-saggio diretto Leonardo di Costanzo. E alla sua attrice Barbara Ronchi, paragonata da qualcuno a Liv Ullmann, a Bibi Andersson, a Ingrid Thulin: l’intero pantheon delle interpreti bergmaniane.

 

Sarà: a noi è sembrata uguale dall’inizio alla fine. Nei flashback dove uccide la sorella (per futili motivi, pare, comunque lei non li ricorda). Nelle passeggiate tra i boschi svizzeri (è ricoverata in un carcere “diffuso”, tante casette attorno a un edificio centrale in cui un criminologo spiega come ricuperare gli assassini di buona famiglia, lo dice con altre parole ma il concetto è questo). Durante le visite, il padre la va a trovare due volte a settimana. Il criminologo suscita la sua curiosità, ma poi molla anche lui. In una breve scena, tocca a Valeria Golino – madre di una vittima – dar voce e corpo a un po’ di buon senso. I fan ondeggiano tra “stile invisibile” e “stato di grazia”. Ben piazzato nelle stellette dei critici, italiani e internazionali, è “No Other Choice” di Park Chan-wook, tratto – incredibilmente, sembrerebbe una storia coreana – dal romanzo dell’americano Donald E. Westlake intitolato “The Ax”. Dimostra che una storia di disoccupazione può essere raccontata con toni diversi – comici e sul filo dell’assurdo – da quelli di Valérie Donzelli in “À pied d’oeuvre”. Azzoppato dalla scarsa credibilità: un fotografo di successo che lascia il lavoro e finisce in miseria perché vuole scrivere il suo romanzo. Avrebbe potuto lavorare a metà tempo. Il romanzo precedente gliel’hanno rifiutato, e ora ripiega – con successo immediato – sull’autofiction.

 

Corea anche in “Bugonia”, un remake di Yorgos Lanthimos con Emma Stone che viene rapata e torturata: amministratrice delegata di una multinazionale, la credono un’aliena venuta a distruggere il pianeta Terra. Non c’è trama più attuale, tra quelle alla Mostra: i complottisti e le sciocchezze che combinano. Ottima e guerresca come sempre Kathryn Bigelow in “A House of Dynamite”. Deboluccio “Il mago del Cremlino”. Ancora più debole “Jay Kelly” di Noah Baumbach: George Clooney si è fatto cucire su misura il film, ma quando deve inseguire un ladro di borsette ha il fiatone. Accade in Italia, paese ideale per le vecchie glorie, dicono: premiano volentieri “maschi bianchi un po’ avanti con gli anni”.

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