
(LaPresse)
Venezia 2025
Far singhiozzare non basta per vincere il Leone d'oro. Né per fare cinema
L’uso delle registrazioni originali con la voce della bambina che chiede aiuto è al centro di “The Voice of Hind Rajab”. E giù pianti, senza pensare che di lì a qualche anno le avrebbero imposto di non mostrare neppure una ciocca di capelli
Festivalieri, cronisti, pubblico assortito: tutti commossi, qualcuno con le lacrime, per la voce di Hind Rajab: la bambina di cinque anni che chiedeva aiuto alla Mezzaluna rossa da una macchina, attorno i familiari morti. Ma ci sono regole e protocolli, il caposquadra ha già perso troppi uomini (e mezzi) in missioni che hanno messo a rischio la vita dei soccorritori. Vediamo sullo schermo le foto della bambina, vestita della festa con coroncina. E giù singhiozzi, senza pensare che di lì a qualche anno le avrebbero imposto di non mostrare neppure una ciocca di capelli. Proprio come l’operatrice che sta al centralino e cerca di stabilire un contatto.
L’uso delle registrazioni originali con la voce della bambina che chiede aiuto è al centro di “The Voice of Hind Rajab”, diretto dalla regista tunisina Kaouther Ben Hania. Mossa discutibile ma di sicuro effetto: alla proiezione ufficiale in Sala Grande gli applausi sono durati ventiquattro minuti, dicono. Sui taccuini dei giornalisti, l’appunto “dare voce a chi non ce l’ha”. A nessuno è passato per la testa che la bambina cresciuta avrebbe dovuto sottomettersi ai maschi senza autocontrollo, celando allegria e sensualità. Nessuno ha ricordato la carneficina del 7 ottobre 2023 al rave, per opera di Hamas. Bilancio 1200 morti e 250 ostaggi, non tutti ritornati a casa. Si sente odore di Leone d’oro. Speriamo di no. Speriamo che non finisca come “Nomadland” di Chloe Zhao: molti tramonti, Frances McDormand, e altri sventurati che vivono nelle roulotte, musiche di Ludovico Einaudi. Poi due Golden Globe e tre Oscar. Per ora il film della tunisina Kaouther ben Hania è salito in testa alle stellette dei critici, seguito da “No Other Choice” di Park Chan-wook: disoccupato organizzato, per fare fuori chi aspira al suo posto da dirigente nella cartiera. Che è cinema, però. Non un urlo di dolore.
Terzo film italiano in concorso: “Elisa” diretto da Leonardo di Costanzo con Barbara Ronchi. Sempre in scena nella parte del titolo: una donna di 35 anni condannata per aver ucciso la sorella maggiore, bruciando poi il cadavere. La monotonia dei giorni tutti uguali, tranne che per le visite del padre, viene interrotta da un criminologo – l’attore francese Roschdy Zem. Fa lezione sulla colpa e la responsabilità, pensa che gli assassini che non hanno patologie psichiatriche o condizioni familiari avverse siano ricuperabili. Convince Elisa a fare colloqui con lui. Ma la ragazza è più tosta di quel che sembra. Questa la trama, che si risolve visivamente in una serie di primi piani drammatici, con assolta monotonia (esce domani nei cinema, se volete tentare: noi sconsigliamo). Da Taiwan, con neorealistico furore, è arrivato “Nühai”, che vuol dire “Ragazze”. E’ il debutto alla regia dell’attrice taiwanese Shu Qi: a 49 anni e dopo una trentina di film ha deciso di passare alla regia. Siamo nel 1988, sempre a Taiwan. L’allieva Hsiao-lee, gonna scura e camicetta bianca, vuole fuggire. Andarsene da casa, via dalla madre parrucchiera – il negozio è una delle cose più belle del film, pare uscito diritto dai nostri anni 60, giù al sud – e via dal padre alcolizzato e violento che non riesce a tenersi un lavoro. Fa amicizia con Li-li, che è stata negli Usa, poi ha dovuto tornare con la madre al paesello – il padre si è fatto un’altra famiglia. Neorealismo colorato, ma sempre neorealismo.
Al film giapponese di animazione “Hateshinaki Scarlet” abbiamo preferito il documentario “Mata Hari”. Racconta David Carradine e sua figlia Calista, legati dal progetto di un film sulla spia olandese. Mai finito. L’idea era girarlo seguendo la figlia mentre cresceva, come “Boyhood” di Richard Linklater.