
Venezia 2025
L'arguta “Divine Comedy” di Ali Asgari. Appunti per registi impegnati
Una pellicola confusa e sconclusionata firmata Julian Schnabel, l’altra brillante made in Teheran. C’è chi scrive film che fanno piangere e chi fa cinema
Due divine commedie nel programma della Mostra di Venezia. Una molto pompata, l’altra no. Una di Julian Schnabel, celebrato regista che viene dall’arte figurativa, e a New York vive in una palazzina di tre piani ridipinta con i colori di Frida Kahlo. L’altra scritta e diretta da Ali Asgari, che già aveva girato (con Alireza Khatami) “Kafka a Teheran”: nove episodi di vita quotidiana, in un paese dove i cittadini sono osservati e controllati, ma a furia di accumulare divieti si rischia il ridicolo.
“Il progetto più ambizioso di Schnabel”, dice il direttore Alberto Barbera, che ha messo “In the Hand of Dante” fuori concorso. Il regista ci ha lavorato tra mille traversie: agli artisti piace lavorare “contro”, ma forse ogni tanto dovrebbero tenere conto dei segnali di pericolo che l’universo invia al loro indirizzo. Protagonista – nella parte del sommo Dante e del romanziere Nick Tosches, il film è tratto da un suo libro – doveva essere Johnny Depp. Non se ne face niente, il divo era a processo per violenze domestiche.
Ora Dante, con la palandrana d’ordinanza, è Oscar Isaac. Bravo attore costretto qui alla doppia parte: il poeta della “Commedia” e Nick Tosches medesimo, che ci affligge en passant con il suo rifiuto verso qualsivoglia editing. Gerard Butler fa il guardaspalle, nell’epoca moderna filmata in bianco e nero: gli dicono di andarci piano, devono frequentare le biblioteche. E’ infatti saltato fuori – siamo nell’oggi – un manoscritto della “Commedia”. Se fosse autentico, varrebbe un bel po’ di soldi. Nel passato, il povero Dante passa i suoi momenti brutti. Nel presente Tosches dovrebbe autenticare il manoscritto. Si lascia prendere la mano – vogliamo chiamarla curiosità filologica? Ruba il manoscritto e si trova la mafia alle calcagna. Girando per festival, e non da ieri, film confusi o senza capo né coda ne abbiamo visti parecchi. Questo li batte tutti. Non sembra neppure lo stesso regista che aveva diretto con successo un film difficile come “Lo scafandro e la farfalla”.
Non abbiamo dimenticato la “Divine Comedy” made in Teheran. Le peripezie di un regista – raccontate con spirito e intelligenza, in un paese dove le adultere vengono lapidate – che vuol vedere il suo film proiettato. Non ha ottenuto il visto di censura, un cane e altri dettagli lo impediscono. Con la sua produttrice Alireza Khatami, che ha i capelli blu e una Vespa rosa, gira per le sale. Incassando una serie di no. Anche se in un caso per caldeggiare la proiezione sono andati a procacciare droga, che a Teheran scende dal cielo con un drone. Per l’Italia è stato comprato da Teodora Film. Accorrete numerosi, quando uscirà in sala.
“The Voice of Hind Rajab”, scritto e diretto da Kaouther Ben Hania, tunisina, concorre al Leone d’oro delle lacrime (speriamo che il presidente della giuria Alexander Payne resista, lui sa girare film che davvero toccano il cuore). La regista nel 2020 era alla Mostra con “L’uomo che vendette la sua pelle”. Una storia che parte ispirata a un racconto di Roald Dahl – sezione adulti. Era intitolata “Skin”: il pittore lituano Chaïm Soutine all’inizio del secolo dipinge un quadro sulla schiena di un ubriaco. Quando Soutine diventa famoso, i mercanti d’arte cercano lo sventurato per scuoiarlo.
Hind Rajab è una ragazzina rimasta sola in macchina a Gaza, i soldati hanno ucciso zii e cugini che viaggiavano con lei. Esistono i nastri con le telefonate. La bambina chiede aiuto e la Mezzaluna rossa ha la sua burocrazia. Non importa se vi farà piangere. Il cinema è un’altra cosa. Produttori, la Hollywood impegnata: Brad Pitt, Joaquin Phoenix, Alfonso Cuarón, Rooney Mara.