
Kim Novak (LaPresse)
Lido Raimondo
Ahi, Kim Novak s'è scordata di gridare al genocidio. In arrivo la shit-storm
L'attrice ha ricevuto il Leone d'Oro alla carriera. La sala le tributa una standing ovation clamorosa, un'ovazione con otto minuti di applausi: "Dobbiamo unirci per salvare le nostre democrazie"
Alla Mostra del Cinema di Venezia, la Biennale ha conferito il Leone d’Oro alla carriera a Kim Novak, diva del cinema hollywoodiano anni 50 e 60, protagonista indimenticabile di “Vertigo” di Alfred Hitchcock (1958), considerato dalla rivista Sight&Sound il miglior film di tutti i tempi. La notizia qui è duplice: il premio, e il fatto che Kim Novak sia ancora viva. (Del resto lei è “la donna che visse due volte”, evidentemente starà alla seconda). C’è anche un’ulteriore notizia: la Novak non compare in pubblico da più di dieci anni, mentre è venuta personalmente a ritirare il premio nonostante i 92 anni d’età. La cerimonia era stata fissata al Palazzo del Cinema, in Sala Grande, alle ore 14.00 del 1° settembre, con un sole a picco che è ancora quello di agosto: ma alla Biennale non lo sanno che gli anziani non devono uscire nelle ore più calde? E’ la prima volta che assisto a una premiazione qui alla Mostra del Cinema, non so cosa aspettarmi.
La platea, sold out, è variopinta: c’è gente in calzoncini e uomini in smoking – dei due non so chi sia più fuori luogo; e contrariamente alle proiezioni classiche in questo caso i posti in platea sono numerati, mentre quelli in galleria riservati alla crew del film. Senza che le luci in sala si spengano, sul grande schermo vanno le immagini della diretta dal red carpet lì fuori; io so che Novak non sfilerà (“la signora vuol comparire direttamente in sala”, mi avevano rivelato il giorno prima dalla Biennale, evitando così il colpo di calore sul tappeto rosso); ma in sala non lo sanno. Quindi, quando sul red carpet passa una signora anziana con un bastone, complice anche uno stacco sul suo primo piano da parte della regia televisiva, in sala c’è chi grida “eccola, è lei!”; mentre è soltanto una vecchia.
Novak compare in sala solo dopo un tributo filmato e i due discorsi in suo onore di Alberto Barbera e Guillermo del Toro; e quando finalmente fa il suo ingresso, vestita di nero e verde come nella sua prima apparizione in “Vertigo”, la sala le tributa una standing ovation clamorosa, un’ovazione con otto minuti di applausi – a cui più tardi si sono sommati altri 5 minuti di applausi quando Novak ha fatto le scale a piedi, e senza che il suo femore schizzasse in faccia a nessuno dei presenti. Sul palco, Novak ha detto “dobbiamo unirci per salvare le nostre democrazie, troppi uomini sono morti per questo e non possiamo permettere che vada tutto perso”; ma non dice “genocidio!”, quindi anche per lei in arrivo la shit-storm come per Fanelli.
Certo, Kim Novak è molto anziana, ma è un nuovo tipo di anzianità, alla quale ci dovremo abituare: quella dove non si vedono solo le rughe, ma anche i cedimenti della chirurgia estetica. Il viso di Kim Novak adesso è identico a quello di Jack Nicholson nei panni di Joker in “Batman” di Tim Burton, gli stessi zigomi, a causa di “iniezioni di grasso nel viso” (cit.) fatte nel 2014 e che poi Novak in un’intervista ha definito “la cosa più stupida che io abbia fatto” (ri-cit.); ma per il resto appare in salute e in ottima forma, solleva il pesante Leone d’Oro con una mano sola senza che si sbricioli per l’osteoporosi, ed è perfettamente autonoma, sia qui in sala (al massimo c’è qualche gentleman occasionale che le dà il braccio) che in casa, come appare nel documentario che segue alla premiazione. Ma davvero Kim Novak, vedova dal 2020, è sola, manco una badante? O è una di quelle che si vergogna e la nasconde? In entrambi i casi, le suggerisco il cortometraggio “La luce nella crepa” di Anselma Dell’Olio, che proprio oggi verrà presentato qui alla Mostra, e dedicato ai caregiver, al loro ruolo e alla loro dignità. Diamo a Kim Novak anche il Caregiver d’Oro.