Nadav Lapid (foto ANSA)

Cannes '25

Il film di Nadav Lapid è brutto e noioso. Il contrario di “Sentimental Values”

Mariarosa Mancuso

Per quanto in Francia sia apprezzato, il coraggio di mettere “Yes” in concorso per la Palma d’oro è giustamente mancato. Piuttosto, a fare innamorare i festivalieri è la pellicola di Joachim Trier

Ai registi norvegesi bisogna vietare i personaggi di nome Nora. Sono messaggi, qualche volta colpi bassi, congegnati per impressionare lo spettatore, danno lustro e intensità a qualsiasi copione. A tre giorni dalla fine, i festivalieri si sono innamorati del film di Joachim Trier, come già era successo per “La persona peggiore del mondo”, grande interpretazione di Renate Reinsveen, l’antipatica nel ruolo del titolo. L’attrice e regista fanno di nuovo coppia, con questa Nora: l’attrice teatrale che nel film “Sentimental Values” regala una scena di trac, isteria, attacco di panico davvero magnifica. Si strappa il vestito, si avvinghia ai colleghi maschi (“dammi almeno uno schiaffo”), si fa scaraventare in scena con le brutte maniere – il sipario è già alzato da un po’, la musica attacca per la seconda volta.  

Applausi, sullo schermo e alle proiezioni: The Hindu – quotidiano di Chennai in lingua inglese – calcola 19 minuti di applausi. Gli altri si fermano a 15. Inverosimili: ci sono anche gli spettatori che vorrebbero andarsene ma restano prigionieri. “Sentimental Values” è il titolo internazionale, comincia nella casa di famiglia – bella davvero, colorata e ornata in mezzo a più timide architetture. La mamma è morta, e papà – drammaturgo che sopra ogni cosa ha messo la carriera e le giovani attrici bionde – torna con un’indecente proposta. Vuole che la figlia attrice reciti per lui. 

A Nora non pare il caso. Alla sorella neanche. Il genitore per dispetto annuncia di aver scritturato Elle Fanning – in teatro, sarebbe “l’ingénue”: la sciocchina fa morire di invidia le figlie. E quindi: confronti, litigi, scheletri tirati fuori dall’armadio, rivendicazioni, ricatti affettivi: il padre si è tolto tutti i capricci, dov’era quando le bambine avevano bisogno di lui? Basta per proiettare il film in alto nelle preferenze dei critici. Noi non riusciamo a commuoverci per gli antipatici.

Sapevamo che sarebbe stata dura, vedere “Yes”. Per noi, è il terzo film dell’israeliano Nadav Lapid, molto coccolato dai festival. Vinse una Berlinale con “Synonymes”, e già si intuiva il delirio narcisista: il regista medesimo alle prese con la lingua di Molière. Il secondo film era “Ahed’s Knee”, premio della giuria a Cannes nel 2021 – mai apparsi sui radar del pubblico pagante. Ora è alla Quinzaine con “Yes”: per quanto in Francia sia apprezzato, il coraggio di metterlo in concorso per la Palma d’oro è giustamente mancato (facendoselo scippare dalla sezione indipendente: ricostruzione nostra, puro intuito festivaliero).

 

                        

 

Yes” è brutto, senza riserve. Pure noioso, e ovviamente anti israeliano fino al midollo. Il regista vive a Parigi da quando ha finito il servizio militare. Unica interruzione: è tornato per frequentare a Gerusalemme la scuola di cinema intitolata a Sam Spiegel. Siccome, nonostante i premi, sa di essere piuttosto scarso come regista, si butta sullo sconnesso, con punte di grottesco. A uso dello spettatore mette in bella vista su un tavolino un libro aperto sui dipinti di George Grosz, grande satirico della Berlino anni 20. Si prende 150 minuti del nostro tempo senza restituire altro che noia, e altri dieci alla fine del film per far sapere allo spettatore stremato che “è il mio film più importante, lo sento proprio mio, e ho scoperto di essere circondato da vigliacchi che non volevano più finanziarlo dopo il 7 ottobre”.

Tutto il coraggio era servito per dirgli sì la prima volta. Come fanno gli israeliani pecoroni, sostiene il regista. Bugia: Nadal Lapid è uno dei cinque registi che nel 2023 hanno ricevuto soldi dal governo israeliano. Per “Yes”, 600 mila dollari, certifica Screen International
 

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