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“Star Wars”, ovvero il danno di farsi guidare dall'assolutismo della luce
“La vendetta dei Sith” sbanca di nuovo al cinema. Si tratta del capitolo più riuscito della trilogia prequel, ma è anche quello che dice di più sul nostro presente
Un tempo ci era chiaro cosa intendessimo quando parlavamo della Forza. O almeno, credevamo di saperlo. Poi è arrivato “La vendetta dei Sith”, e da allora non ne siamo più tanto sicuri. Se oggi, vent’anni dopo, l’edizione anniversario del terzo episodio di “Star Wars” fa il record d’incassi in America, è per due motivi: è il capitolo più riuscito della trilogia prequel ed è quello che dice di più sul nostro presente. La trilogia originale, girata tra gli anni Settanta e Ottanta, aveva un tono fiabesco e mitologico, rifaceva Wagner in chiave sci-fi: come “L’anello del Nibelungo” è la tragedia di Wotan, così “Guerre stellari” è quella di Darth Vader, la cui spada viene ritrovata dal figlio Luke-Siegfried, addestrato da un nano del bosco per affrontare e redimere il padre.
Il prequel, uscito tra il 1999 e il 2005, mette da parte il mito e prende ispirazione dalla politica. “La minaccia fantasma” si apre con una guerra commerciale interplanetaria provocata da tariffe e blocchi. Ne “L’attacco dei cloni” la parola è passata alle armi e ne “La vendetta dei Sith” scopriamo che è stato tutto un complotto per generare caos nella Repubblica galattica, così da permettere a un leader carismatico – Palpatine – di emergere e impancarsi a salvatore. Le cose andranno nel peggiore dei modi ma, se la Repubblica si lascia uccidere con questa facilità, è perché è già malata dall’interno. I suoi magnanimi ideali hanno messo capo a una macchina amministrativa in mano ai burocrati. L’Ordine Jedi, dall’alto della sua storia millenaria, è diventato una specie di Fbi dove covano ambizioni putschiste. La defezione di Anakin Skywalker è il sintomo di un Ordine troppo preoccupato di preservare se stesso per vedere e curare le ferite dei giovani allievi. Il suo rigorismo ascetico chiede di soffocare sul nascere paura, odio, ira, attaccamento, impazienza. Ma in questo modo l’“equilibrio” della Forza si riduce alla cancellazione di ogni aspetto oscuro. Quando Palpatine dice che i Jedi hanno una visione limitata delle cose, esagera ma non mente: sono i custodi di una ortodossia discutibile, per la quale la Forza deve essere solo luce senza ombra, che è un principio ostile a qualsiasi forma di vita.
“La vendetta dei Sith” mostra cosa succede quando la politica si fa guidare dall’assolutismo della luce: il lato oscuro – paura, odio, desiderio – che si credeva di aver estirpato si ripresenta ed esplode travolgendo ciò che gli resiste. La rovina della Repubblica non è soltanto il frutto di un piano segreto di Palpatine, è la sorte che attende le istituzioni paralizzate dalle proprie certezze, incapaci di fare compromessi e di riformarsi. Il potere dei burocrati, il cieco orgoglio dei Jedi, l’apatia del Senato: tutto converge a far nascere l’Impero del male nel cuore stesso della Repubblica del bene. Perché se la Forza viene venduta come uno spazio di chiarità pura, assoluta, integra e incontaminabile, non ci dobbiamo stupire che, prima o poi, i popoli della galassia invochino a gran voce il ritorno del lato oscuro.