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Quentin Tarantino da leggere
"Perché è divertente" è la raccolta di interviste al regista americano curata da Gerald Peary e appena uscita da minimum fax
Anche Quentin Tarantino ha cominciato provando e riprovando. A 22 anni prende in prestito una cinepresa 16 mm (da bravo e onesto ragazzo americano, Werner Herzog ne aveva sottratta una alla scuola di cinema di Monaco). Per tre anni, nei fine settimana o quando ha un po’ di soldi in tasca, gira un lungometraggio che avrebbe dovuto intitolarsi “My Best Friend’s Birthday”. Quando racimola i soldi per rimetterci le mani, racconta: “Ho cominciato a montarlo e mi si è spezzato il cuore”. Non era quel che aveva in mente. Servivano altri soldi, e la frase più disperata che c’è, da ripetersi più volte: “Ok, ora passiamo alla post produzione”.
Lo racconta in un’intervista del 1992 a Cannes. Dove i più curiosi e meno moralisti si erano entusiasmati per “Le iene” (a dispetto del poco limpido titolo “Reservoir Dogs”). Nel mentre, Tarantino aveva scritto e venduto qualche sceneggiatura – chi lo ha amato dal primo momento, e tra questi c’è lo scrittore anglo-indiano Amitav Ghosh, ne riconosce sopra ogni cosa il talento di scrittore. Dispiegato in “Le iene” fin dalle prime scene: il discorso sulle mance, sulle povere o non povere cameriere, sul fatto che nessuno è contento del nome di battaglia – tra i colori c’è il rosa. Dopo qualche mese trovarono i soldi – volevano farlo con mezzo milione, sforarono arrivando a spendere un milione e mezzo.
Una vocazione più che precoce: “È buffo – dice Tarantino – Incontro persone di venticinque anni che non sanno cosa vogliono fare della vita. Io lo so da prima di quanto possa ricordare. Volevo fare l’attore, ed è l’unica cosa che ho studiato”. Vedeva film tutto il giorno, e se ne staccava solo per dare un’occhiata 'ai giornalini con i mostrii”.
A sedici anni legge una raccolta di recensioni di Pauline Kael e si esalta: “Un giorno sarò in grado di capire un film come lei”. Per i Tarantino movies mancò il tempo: la regina della critica rancò in pensione quando il giovane regista stava ultimando il film. Quanto al discorso sulle mance, è un modo astuto di descrivere i caratteri – senza trucchetti tipo voci fuori campo.
Abbiamo raccontato un assaggio di “Perché è divertente”, la raccolta di interviste a Quentin Tarantino curata da Gerald Peary e appena uscita da minimum fax (sempre tutto minuscolo). È divertente vedere i film di Tarantino, è divertente sentirlo parlare di cinema, è divertente quando scrive di cinema (non necessariamente sceneggiature, c’è la versione espansa di “C’era una volta a Hollywood” e “Cinema Speculation”, discorsi sul cinema come solo lui sa fare). Precisi, intelligenti, maniacali, divaganti. Provocatori, come quando paragona le scene di violenza alle scene di danza. Non a tutti piacciono, ma devono essere acrobaticamente costruite.
“Glicked” o “Wickiator”