Pellicole
Le major abdicano al mestiere di ideare film originali. E noi ci annoiamo
Una giungla di sequel, prequel, remake e reboot. Hollywood sa ancora fare film?, si chiedono i francesi sull’ultimo numero del mensile Première. Nell'impaginazione del giornale c'è scritto: "Alla ricerca delle cifre che contano". Da brividi
Lo chiedono i francesi. Stufi di essere chiamati "mangiarane" e di apparire sugli schermi con una città bamboleggiante, buona solo per corteggiamenti in pausa pranzo e riunioni in giornali di moda. "Emily in Paris" è l’ultimo tocco, il più modaiolo e frivolo. Per una Parigi con le fisarmoniche e i ristoranti popolari bisogna tornare indietro a "La fantastica signora Maisel": una delle stagioni ha i baschi, le fisarmoniche, i genitori da rimettere insieme dopo una crisi. Hollywood sa ancora fare film?, chiedono i francesi, e in fondo c’è un bel punto di domanda. Lo scrivono sull’ultimo numero del mensile Première. "Page Saumon", si chiama, nell’impaginazione del giornale: "Alla ricerca delle cifre che contano".
"Hollywood produce soltanto sequel, remake e prequel. Niente di originale". Lo abbiamo sentito dire più di una volta, pareva perfino esagerato: un brutto strascico della pandemia. In verità, ci sarebbero anche i reboot, da leggersi come "riavvio" di un film o di una serie di successo, e poi gli spin-off, quando un personaggio già famoso si allarga con una serie tutta sua. Il discorso non cambia: buona parte di queste trame, racconti, personaggi la conosciamo già. E avendo superato l’età dei Dvd consumati a furia di guardare e riguardare il pesciolino Nemo che si perde e si ritrova un po’ ci annoiamo.
Siamo noi che abbiamo perso l’entusiasmo, dopo aver visto troppi film, o qualcosa è successo? Matthew Belloni, ex giornalista di Hollywood Reporter e ora uno degli spifferatori di Puck, sito che riferisce agli insider le conversazioni tra altri insider di Hollywood, sostiene che "Hollywood ha un problema che sfiora il 10 per cento". E dunque?, chiedono gli spettatori non addentro alle segrete cose. Che significa?
Matthew Belloni ha calcolato che su 505 lungometraggi live action (escludendo quindi i film d’animazione, già vittime di ripetute clonazioni) proposti dai nove maggiori studi o piattaforme, nel periodo di tempo che va dal 2022 al 2026, soltanto il 10 per cento è basato su copioni originali e sviluppati in casa.
Per chiarire, in quel 10 per cento non è compreso "Oppenheimer". Non fa parte di una saga e neppure è un remake, ma non è stato immaginato, calibrato, cancellato e riscritto, aggiustato, ripensato, ricalibrato all’interno di una major. Christopher Nolan lo ha scritto da solo, al massimo con i collaboratori di cui si fida, e poi lo ha venduto alla major che offriva di più. Ci sono poi le nuove e brillanti case di produzione A24 e Neon, che non fanno parte delle classiche major né delle quasi classiche piattaforme.
Riprendiamo. Solo il 10 per cento dei film che abbiamo visto e vedremo è stato concepito e sviluppato da una major, o da una piattaforma. E il resto? A24 e Neon pensano e producono film originali, che poi vendono o fanno distribuire. "Oppenheimer" è un titolo che le major si sono strappate di mano. Poi ci sono gli accordi di collaborazione. Jordan Peele e il suo gruppo ha buone entrature in Universal. Progetti firmati Legendary come "Dune" oppure "Horizon" di Kevin Kostner sono stati semplicemente distribuiti dalla Warner. Resta un 27 per cento tra franchise, marchi di fabbrica, adattamenti, universi in condivisione.
Vengono i brividi? Certo che vengono i brividi. Matthew Belloni implacabile spiega: se stai supervisionando la produzione di tanti film da 500 milioni di dollari, e segui l’uscita in sala di altri film da 500 milioni di dollari, davvero ti resta il tempo per leggere la terza versione di un copione che uno dei tuoi sottoposti sta sviluppando al piano di sotto? Non è più semplice comprare un pacchetto di film "prestigiosi" che da tempo sta sulla scrivania e attende un sì?