A Roma c'è stata la presentazione degli Stati Generali del cinema: tutti a chiedere soldi e certezze

Mariarosa Mancuso

Erano 1.500, più di venti associazioni aderenti, dai 100 Autori ai registi, agli attori, ai produttori di cartoon. E s'è parlato tanto di Francia, “il modello che ci piace”

Erano 1.500, secondo gli organizzatori. La questura non serviva, come usa nelle manifestazioni su strada. Erano riuniti in tre sale del cinema Adriano a Roma. Altri collegati in streaming. Le associazioni aderenti erano più di venti, dai 100 Autori ai registi, agli attori, ai produttori di cartoon (qui è risuonato il grido d’allarme: “Vogliamo che i nostri bambini crescano con i film d’animazione americani?” – la domanda era retorica, la risposta no: a noi è successo, non ne siamo usciti tanto male, e non c’era neppure la Pixar ad alzare il livello).

   

Tutto il cinema italiano, per la prima volta da decenni riunito – lo ha detto uno dei partecipanti, purtroppo l’audio da remoto era pessimo e non si è capito il nome. Per chiedere formalmente al ministro Gennaro Sangiuliano, al sottosegretario Lucia Borgonzoni e al direttore generale Nicola Borrelli quel che di solito si chiede in queste situazioni. Soldi e certezze – si può anche elegantemente invertire l’ordine, dalle certezze (o dalle certificazioni, spesso burocraticamente complicate) discendono anche i contributi. Ma il personale che deve sbrigare le pratiche è scarso rispetto alle esigenze.
      

I numeri del settore registrano 9.000 imprese attive, la maggioranza piccole e medie. 95 mila sono i posti di lavoro diretti, 114 mila nelle filiere connesse. Il moltiplicatore economico è pari al 3,54: per ogni euro investito ne ritornano tre e mezzo. Ma allora perché c’è bisogno di cospicui finanziamenti pubblici? Risposta: è l’eccezione culturale, mutuata dalla Francia che durante l’incontro è stata definita più volte “il modello che ci piace”.

 

Sicuro. Ma in Francia ci sono anche scuole di cinema come la Fémis, paragonabile – per difficoltà e selezione all’ingresso – alle grandi scuole di formazione: si entra per concorso, ne esce la classe dirigente francese. Il tentativo di “sfatare il luogo comune secondo cui in Italia si girano troppi film” regge fino a un certo punto. In Italia nel 2022 sono stati 176, in Francia 191. Ma i francesi hanno 6.298 sale (dati del 2022) e gli italiani ne hanno 3.541. Per non parlare della diversa abitudine al cinema: i francesi ci vanno anche di pomeriggio. E se un’opera prima non funziona in sala, non finanziano la seconda. Figuriamoci la terza.
     

Parlano gli attori, non garantiti: siamo tanti e non tutti star. Marco Bellocchio celebra la presenza di varie categorie, fino agli scenografi e ai montatori, gli agenti e i compositori: “restiamo uniti” (e aggiunge: “la legge 180 mi protegge dal ricovero coatto”). Chi invoca più donne protagoniste, non soltanto giovanissime. Si parla di idee vendute per spiccioli, tipo 100 euro. Ma può darsi pure – suggerisce l’avvocato del diavolo – che non valessero tanto di più.