gettyimages  

L'editoriale del direttore

Lo Zeitgeist degli Oscar. La vera sfida dei talenti riguarda la difesa della libertà

Claudio Cerasa

Andare al cinema, pensare alle nomination e scoprire che lo spirito del tempo proiettato sul grande schermo è lo stesso proiettato nella quotidianità delle nostre democrazie: cosa fare per difendere noi stessi da chi cerca di toglierci qualche spicchio della nostra libertà

E se per una volta fossero gli Oscar della libertà piuttosto che quelli della banalità? Tra pochi giorni, il 10 marzo, al Dolby Theatre di Hollywood verranno premiati i migliori film dell’anno. Nelle ultime edizioni, buona parte dell’attenzione degli osservatori è stata catturata da un calcolo insieme reale e soporifero che si trova ormai da anni al centro del cosiddetto bipolarismo cinematografico: quante sono le statuette conquistate dalle piattaforme specializzate in streaming e quante sono quelle conquistate dalle rivali alternative allo streaming? L’unione progressiva tra i due mondi, un’unione fatta di collaborazioni, triangolazioni, acquisizioni e a volte fusioni, ha reso il calcolo poco attraente e anche per questo, nell’edizione di quest’anno, varrebbe la pena seguire forse un filo diverso: quanto peserà agli Oscar il fattore libertà?

Ci avrete fatto caso anche voi andando al cinema a curiosare tra alcuni dei film candidati agli Oscar. Ovunque ci si giri, lo spirito del tempo proiettato sul grande schermo è lo stesso spirito del tempo proiettato nella quotidianità delle nostre democrazie: cosa fare, nel nostro piccolo, per difendere noi stessi, la nostra vita, la nostra esistenza, da chi cerca a vario titolo di toglierci qualche spicchio della nostra libertà. È una ricerca continua della libertà naturalmente “Barbie”, dove per libertà si intende il percorso di emancipazione della donna, dalla ovattata e falsa stagione delle sagome di plastica a quella vera e ruvida del modello Birkenstock. È una ricerca continua della libertà “Povere creature”, dove il regista Yorgos Lanthimos racconta, con gli occhi ancora una volta di una donna, come sarebbero le relazioni umane senza le sovrastrutture che ci siamo costruiti attorno, di cui il politicamente corretto è la manifestazione più recente e più attuale. È una ricerca continua della libertà “Anatomia di una caduta”, dove la caccia alla verità, a seguito di un omicidio, diventa un processo con cui uno dei protagonisti, quello più piccolo, cerca di portare avanti una forma di liberazione speciale dai segreti e dalle bugie che hanno caratterizzato la sua vita. È una ricerca continua della libertà, naturalmente, anche “Perfect Days”, di Wim Wenders, dove la libertà che in questo caso si vuole difendere è quella che ciascuno di noi ha riscoperto dopo l’uscita dalle limitazioni della pandemia, nel momento in cui anche i rituali gesti della quotidianità sono divenuti, come direbbe Francesco Piccolo, “Momenti di trascurabile felicità”. È una ricerca della libertà anche “Past Lives”, dove la libertà in questo caso è l’affermazione del proprio libero arbitrio di fronte al destino. È una ricerca della libertà anche “Io capitano” di Matteo Garrone, dove la libertà in questo caso è quella di chi cerca di conquistarsene una nuova viaggiando per il deserto, per il mare, per i barconi, per arrivare in Europa. Potremmo dire che è una favolosa ricerca della libertà anche l’incredibile storia del protagonista della “Zona di interesse”, il comandante nazista del campo di sterminio di Auschwitz, la cui storia  permette di ricordare cosa vuol dire non banalizzare chi cerca di aggredire i valori non negoziabili di una società aperta.

Nei prossimi giorni si parlerà degli Oscar per molte ragioni. Se ne parlerà, probabilmente, perché diversi film che hanno ricevuto la nomination hanno contribuito a riportare nelle sale un pubblico che negli ultimi anni aveva frequentato i cinema solo in occasione di un qualche meraviglioso blockbuster. Ma se ne dovrebbe parlare forse anche per la sfida nella sfida che si farà largo nel cinema dei talenti. È la sfida tra chi, negli ultimi mesi, ha cercato di conquistare il favore del pubblico giocando anche con le leve della correttezza politica, con il moralismo modello  “Oppenheimer”, con l’anticolonialismo modello Scorsese, e tra chi invece ha cercato di sfidare lo status quo della correttezza scommettendo sul nuovo formidabile spirito del tempo: ricordare cosa vuol dire, nel nostro piccolo, difendere la nostra vita dai nemici della libertà.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.