Negli Stati Uniti

Hollywood ha un problema coi cyberattacchi: meglio investire in sicurezza

Mariarosa Mancuso

Alcune case di produzione come National Amusement, Paramount Global, Comcast e Lionsgate hanno subito fughe di dati, con conseguenti rischi per la privacy dei clienti. Nonostante ciò, l'industria del cinema ha fatto poco per proteggersi 

Una decina di anni fa la Sony Pictures subì un pesante attacco hacker. Gli intrusi si definivano “Guardiani della pace”. Rubarono dati su dirigenti e impiegati, mail scambiate tra gli uffici, informazioni sugli stipendi, copie di film in lavorazione, progetti futuri, sceneggiature. I Guardiani della pace chiedevano inoltre che “Interview”, il film “coreano” con James Franco diretto da Seth Rogen, fosse ritirato dalle sale. Secondo il dittatore Kim Jong-un era parte di un piano americano per assassinarlo. Lasciando la geopolitica, vennero fuori un po’ di pettegolezzi: per esempio, sulla scarsa bravura da regista di Angelina Jolie (ora ha aperto il suo negozio di vestiti in Great Jones Street a New York: negli anni ’70 ci abitava Andy Warhol, e passavano in visita Basquiat e Madonna).

Nella sezione di Variety che si occupa di studi e ricerche, un articolo accorato ricorda che Hollywood non è affatto fuori pericolo. Fa l’elenco delle vittime recenti, con le cifre a corredo. National Amusement, che possiede la Paramount Global, è stata presa di mira lo scorso agosto. Paramount ha informato i clienti di varie fughe di dati, l’ultima lo scorso  dicembre. Una settimana prima Comcast aveva scoperto, con colpevole ritardo, una falla nella sicurezza: in ottobre, una fuga di dati aveva danneggiato 35 milioni di clienti Xfinity, che fornisce internet, TV, telefono, sistemi intelligenti di sicurezza domestica, e intrattenimento. La piattaforma Lionsgate si è lasciata sfuggire i dati di molti clienti, per un annetto e senza clamore. L’Identity Theft Resource Center calcola che nei primi nove mesi del 2023 gli Stati Uniti hanno subìto più furti di dati che in tutto il 2022.

Secondo uno studio del Mit, nel 2023 i ransomware – attacchi hacker che bloccano il sistema e chiedono un riscatto – non solo sono aumentati. Sono diventati più sofisticati e aggressivi. È vero che le compagnie mediatiche non sono in cima alla lista degli hacker, che comunque preferiscono prendere di mira le finanziarie o il servizi sanitari e ospedalieri. Preoccupa l’insistenza con cui questi gravi incidenti hanno colpito Hollywood e dintorni.

Dopo l’attacco a Sony Pictures gli studi e le aziende mediatiche non hanno fatto molto per proteggersi. Nel mirino degli hacker, non è tanto la proprietà intellettuale, ma i dati degli abbonati, e in genere della clientela pagante. Sono attacchi meno frequenti, ma provocano più danni economici che alle altre aziende:  il 36 per cento a fronte del 23 . Nel settore dell’entertainment, certifica un’altra ricerca annuale Ibm, un solo attacco può far perdere 3,8 milioni di dollari. Intanto le aziende mediatiche stanno marciando velocemente verso modelli di business digitali. Nel mercato non digitale – che distribuisce copie, non file – restano solo i cinema d’essai (diciamo noi) o l’art house (dicono gli americani). Vuol dire che i soldi, e i film, passano direttamente da chi li produce a chi paga – con carta di credito – per vederli in streaming. I dati dei clienti vanno protetti, non è l’anonimato di quando si andava alla cassa, si sceglieva il film e si pagava in contanti. Ormai sono gigantesche banche dati, con i nostri gusti. E nel caso di Amazon, anche i nostri altri acquisti.

Poco è stato fatto per la sicurezza, nel delicato passaggio dalla piattaforma streaming all’apparecchio del cliente. E invece queste “operazioni sicurezza” sarebbero da mettere in cima alla lista. Hollywood non se la passa benissimo, dopo i lunghi e pesanti scioperi: è momento di investire nella sicurezza.

Di più su questi argomenti: