Night in paradise

Mariarosa Mancuso

La recensione del film di Park Hoon-jung, con Uhm Tae-goo, Jeon Yeo-been, Cha Seung-won (Netflix)

"Ma i gangster non stanno tutto il giorno a far nulla?”, chiede la sorella furiosa perché il fratellastro è arrivato all’ospedale con molto ritardo rispetto all’appuntamento. Parlano davanti alla bambina di lei, che dovrebbe ignorare il mestiere dello zio; invece sa tutto, e dice per congedo: “Non farti pugnalare, fa molto male”. Si capisce subito che non è il solito thriller, viene dalla Corea e ha un sovrappiù di ironia (oltre che di zuppe di pesce, ne mangiano di continuo e fanno da pendant alle pance umane squartate). Mamma e figlioletta, con il nuovo iPad ricevuto in regalo, salgono in macchina da sole, lo zio ha da fare. A casa non arrivano. Atroce regolamento di conti, che per il codice d’onore e bla bla bla dovrebbe limitarsi ai maschi di casa. Lo zio medita vendetta, tremenda vendetta. Passa all’azione nel più classico dei luoghi: la sauna dove la yakuza discute e si ammazza, secondo Takeshi Kitano. Con le mani macchiate da un delitto che scatenerà una faida, se vuol restare vivo deve fuggire, e alla svelta, con telefono e documenti falsi. Prima tappa, l’isola di Jeju. Dovrebbe essere il paradiso del titolo, e lo sembra nonostante gli sforzi del direttore della fotografia Kim Joung-Ho di non abbandonare mai le sfumature di grigio piombo che ha scelto per il film (il rosso sangue fa un bel contrasto, per le scene di macelleria e anche un po di pescheria, nei pesci nascondono le armi smontate che restano sempre un po’ puzzolenti). Sull’isola lo accoglie una ragazza, autista per una settimana prima della partenza per Vladivostock. Strana a dir poco, gioca alla roulette russa e odia quel tipo di lavoro. Però sa sparare benissimo. “Night in paradise” è pronto per un remake a Hollywood: toglieranno un po’ di massacri a favore di una love story qui appena accennata.

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