Dreamland

Mariarosa Mancuso

La recensione del film di Miles Joris-Peyrafitte, con Finn Cole, Margot Robbie, Travis Fimmel, Garrett Hedlund, Kerry Condon (on demand su Rakuten Tv)

Da non confondere con “Nomadland”. Qui siamo nel Texas degli anni Trenta, devastato dalla grande siccità. Il ragazzino Eugen – il padre se n’è andato e giura di aver trovato la luce nel Golfo del Messico, la madre si è risposata e ha un’altra bambina che all’inizio del film fa da voce narrante – trova consolazione nelle storie d’avventura. Finché i gangster arrivano direttamente nel granaio. C’è stata una rapina in banca (tra le vittime una bambina). La rapinatrice si è rifugiata lì, ferita e a suo dire innocente. Una Bonnie senza Clyde, o l’inizio del romanzo dickensiano “Grandi speranze”: l’orfano Pip trova sulla spiaggia un evaso che vuole cibo e una lima per liberarsi dalle catene. Margot Robbie ferita e insanguinata che chiede aiuto ha una certa ascendenza su un ragazzino, tanto più che il proiettile ha perforato la coscia, Eugen deve improvvisarsi dottore (con i mezzi da western: alcol e fazzoletto tra stringere tra i denti). La sorella piccola è curiosa, e non vede l’ora di curiosare nel granaio – intanto però, come narratrice che racconta a posteriori, un po’ difende Margot Robbie (“gli altri la vedevano come un pipistrello infernale”), un po’ riconosce che la signora rapinatrice sapeva raccontare storie commoventi sul suo passato (“due genitori morti di polmonite”). Per un ragazzino che sognava di andarsene dal Texas polveroso, il Messico – in compagnia di una bella donna con i capelli sempre scompigliati da grande parrucchiere – era una meta da sogno. Primo passo: procurarsi un pick up. E poi servono i soldi. Tutta la prima parte del film è artisticamente poco illuminata, quasi buia. Tranne la coscia con calza velata di Margot Robbie bisognosa di cure.

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