Max von Sydow, il Cavaliere beffardo che giocava con la Morte e con il cinema

Da Bergman ai killer della Cia al Trono di Spade (1929-2020)

Maurizio Crippa

Di tutto il suo centinaio di interpretazioni tra film, televisione e teatro, alternando il bene e il male, il malvagio e il sornione, Max von Sydow sarà per sempre ricordato, innanzitutto, come il Cavaliere (dalla trista figura) crociato che gioca a scacchi con la Morte. Guardandola negli occhi e provando a risolvere enigmi e ragnatele di mosse sulla scacchiera dell’Infinito. E’ inevitabile fantasticare che ci sia qualcosa di simbolico nell’addio alla vita terrena del Cavaliere proprio in questi giorni, mentre giocare a scacchi con la Morte invisibile è tornata sfida impegnativa per tutti, umili pedoni o potenti della scacchiera. Il settimo sigillo di Ingmar Bergman fu il suo debutto nel grande cinema, era il 1957. Lui aveva ventotto anni, ma già quel viso lungo, quella voce grave e quelle smorfie sofferenti facevano di lui l’attore perfetto per il Maestro del cinema svedese e per le sue travagliate cosmogonie luterane e borghesi. Eppure negli anni, nei suoi lunghi anni – è morto domenica a Parigi, aveva novant’anni – il volto oblungo e irregolare di Max von Sydow si era fatto meno lugubre e più beffardo, certe volte come più addolcito da una lunga consuetudine con la vita e con le storie.

 

Come nel personaggio muto e positivo di Molto forte, incredibilmente vicino tratto dal romanzo post 11 settembre di Jonathan Safran Foer. Quasi la sofferenza interiore dei primi film svedesi (Il posto delle fragole su tutti, probabilmente il Bergman più grande) si fosse sciolta in una consapevolezza ironica della vita e anche del mestiere d’attore. Mestiere di cui è stato una star venerata fino all’ultimo, di quelle per cui ormai si scriveva fuori titoli “e con Max von Sydow, a Hollywood e in patria, molto anche in Italia, e che ha sempre interpretato con una leggerezza professionale che era il segno di una grande consapevolezza: film di cassetta, cinema d’autore, ruoli da protagonista o da comprimario, camei. Senza spocchia. Gli altri due ruoli che rimarranno, prima di altri, nella memoria del cinema (o almeno dei cinéphile) sono il killer free lance de I tre giorni del Condor e quello di Padre Merrin ne L’esorcista. Due film duri come il cinema indipendente degli anni Settanta, ma di grande successo, più simili di quanto possa sembrare nel loro indagare il Male terreno e ultraterreno, e in cui gli occhi chiari ma riottosi alla trasparenza di Max von Sydow si muovono come radar magnetici. Eppure non aveva avuto remore a dare la voce per un lontano episodio dei Simpson, nel recitare nella fantascienza d’autore o pop di Dune o Flash Gordon o Star Wars, con la stessa attitudine con cui interpretava i ruoli più impegnativi e non si negò, già a una certa età, l’esperienza delle serie tv come Il trono di spade.

 

Era nato a Lund, da una famiglia benestante e colta, il padre studioso di etnologia, la madre di nobili origini e insegnanti. Educazione naturaliter luterana, aveva preferito cercare le sue risposte nella cultura e nel teatro, dove fece il suo esordio e dove, in zona Ibsen, incontrò Bergman. L’inizio di una avventura vissuta sempre con garbo riservato. Del resto, era passato in un anno (1963, 1964), e in modo un poco riluttante, dalle interrogazioni sul “silenzio di Dio” di Luci d’inverno di Bergman al ruolo di Gesù in La più grande storia mai raccontata, polpettone biblico che fu il suo debutto a Hollywood. Non si trovò male, lui l’uomo di Lund, nella Mecca della esteriorità.

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  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"