Kirk Douglas con la moglie Anne nel 1969 (foto LaPresse)

Addio Kirk Douglas, figlio “fortunato” del venditore di stracci

Mariarosa Mancuso

Aveva 103 anni. Era nato povero, aveva fatto 40 mestieri (conteggio suo) e si era pagato le lezioni di recitazione combattendo come wrestler professionista. Poi il successo nella Hollywood degli anni d’oro e un solo Oscar. Alla carriera

Non sappiamo ancora chi vincerà gli Oscar. Sappiamo per certo che l’applauso più caloroso – quando arriva il saluto a chi se n’è andato, e stiamo lì indecisi tra il “vediamo chi manca” e “oddio questo chi era?” – toccherà a Kirk Douglas. Tre volte candidato (per “Brama di vivere”, “Il bruto e la bella”, “Il grande campione”) non ne ha mai vinto uno. Magro risarcimento, nel 1996 è arrivato l’Oscar per celebrare i suoi primi 50 anni di carriera. Kirk Douglas aveva già avuto un ictus. Ma da gran professionista, stando sul palco dritto e senza bastone, pronuncia i ringraziamenti (dopo la standing ovation, mentre figlio Michael in prima fila furiosamente applaude).

  

 

“Non trovo che la virtù sia granché fotogenica” dichiarò nel 1984 a un intervistatore che lo interrogava sui suoi personaggi. Scartati il colonnello Dax in “Orizzonti di gloria” di Stanley Kubrick (costretto a mandare i suoi uomini al macello per conquistare il maledetto Formicaio, durante la prima guerra mondiale) e il gladiatore Spartacus, pensava sicuramente al giornalista di “L’asso nella manica”, 1951. Lo spregevole Charlie Tatum, che a un punto morto della sua carriera trova un poveretto imprigionato in una caverna (stava saccheggiando tombe indiane) e decide di farne uno scoop. Ritarda l’arrivo dei soccorsi, abbastanza per sedurre la moglie dello sventurato che nella caverna morirà. (Se pensate che sia spoiler, vuol dire che siete parecchio indietro con i film di Billy Wilder).

   

 

“Uno dei più bel film sul cinema” certificò Steven Spielberg parlando di “Il bruto e la bella” (“The Bad and the Beautiful” era l’originale, diretto da Vincente Minnelli, marito di Judy Garland e padre di Liza: uno che i segreti di Hollywood li conosceva). “Un pezzo di bravura, e soprattutto un film sincero”, aveva già detto Kirk Douglas, che nel gioco delle parti fa il produttore in disgrazia, scappato a Parigi, che medita un ritorno in grande stile. Convoca un’attrice (Lana Turner, tra le varie bionde a disposizione), un regista, e uno sceneggiatore che in flash back forniscono esempi per suffragare la tesi secondo cui “il cinema si fa camminando sui cadaveri”. Una per tutte: da giovane, Shields aveva pagato qualche figuranti, perché il funerale paterno non andasse deserto. Fa amicizia con uno di loro, aspirante regista, e gli porta via il film-sogno-nel-cassetto.

  

   

Era nato 103 anni fa Issur Danielovitch ad Amsterdam, NY (pseudonimo intermedio, Isadore Demsky). Suo padre era fuggito dalla Russia per non arruolarsi nell’esercito zarista. Siccome in fabbrica non assumevano ebrei, il genitore faceva il venditore di stracci, il punto più basso nella catena alimentare. “The Ragman’s Son” - il figlio del venditore di stracci, se scendiamo ancora più giù troviamo le sei sorelle – è il titolo dell’autobiografia che Kirk Douglas scrisse nel 1988. La prima di tante. Era nato povero, aveva fatto 40 mestieri (conteggio suo), si era pagato le lezioni di recitazione combattendo come wrestler professionista, aveva fatto l’attore diventando una leggenda nella Hollywood degli anni d’oro, e non la finiva più di raccontare quanto era stato fortunato. Anche dopo la malattia, quando scrisse “My Stroke of Luck” (il mio colpo di fortuna).

  


Kirk e Michael Douglas (foto LaPresse)  


 

Ebbe un cedimento – confessa – quando girò “Brama di vivere”, il film su Vincent Van Gogh diretto da Vincente Minnelli (aveva la stessa età del pittore suicida, e passava un momento di malinconia). Qualche anno dopo, indossò il costumino a vita alta da gladiatore in “Spartacus”, girato da Stanley Kubrick nel 1960: sceneggiatore Dalton Trumbo che il cacciatore di comunisti Joseph McCarthy aveva messo nella lista nera. Andavano gli attori belli e muscolosi, allora. Meglio se provvisti come Mr Douglas di faccia intelligente con il vezzo della fossetta.

 

   

In “Le catene della colpa” di Jacques Tourneur – uno dei più fantastici noir mai girati – Kirk era la fossetta numero due. La fossetta numero uno era sul mento di Robert Mitchum. Si contendono una ragazza, tra Acapulco e il Nuovo Messico. Crocevia dei destini, una stazione di servizio.

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