Abbiamo trovato un lavoro vero al nuovo Hulk, il gigante intelligente di Avengers

Mariarosa Mancuso

Le migliori penne della cultura, del cinema e del pop riunite a discutere sul perché i supereroi hanno tanto successo. Servirebbe il personaggio Marvel per fare pulizia

Sarà che siamo ancora sotto l’influenza di “The Avengers: Endgame”. Essersi un po’ annoiati non significa che lo abbiamo dimenticato a fine proiezione: solo che abbiamo patito un po’ nelle scene tenute lunghe, così il critico può certificare “non il solito film di supereroi”.

 

Sarà che la sorpresa del film è Bruce Banner. Una volta diventava Hulk il gigante verde quando si arrabbiava (per un fenomeno mai chiarito i calzoni invece di strapparsi in larghezza si strappavano in lunghezza). Nel film dei fratelli Anthony e Joe Russo che – per il momento – chiude una saga lunga 22 film, ha rappacificato corpo e mente. Resta sempre un gigante, dettaglio utile quando il cattivo Thanos fa fuori metà del mondo. Ma con il cervello del fisico nucleare Bruce Banner, dettaglio più utile quando bisogna esplorare l’universo quantico. Ora porta gli occhiali, e ha addosso un cardigan che di tutti gli abiti maschili è il più domestico. Se poi vi chiedete a chi i Russo Brothers hanno rubato la scena, riguardate il finale di “Frankenstein junior” by Mel Brooks. Il mostro inforca gli occhiali per leggere il Wall Street Journal mentre fa colazione a letto (scopriamo poi che c’è stato un trapianto incrociato, cervello contro sesso: ma non aspettatevi nulla di altrettanto piccante nei supereroi Marvel).

 

Il nuovo Hulk è un gigante intelligente. Nessuno meglio di lui potrebbe irrompere nelle case editrici che hanno rifiutato il memoir di Woody Allen, e armato di clava – o forse bastano le manone – malmenare i dirigenti editoriali (no, non siamo pacifisti, e comunque non siamo stati noi a cominciare questa insulsa guerra). Tutta gente che prima del #MeToo avrebbe fatto la fila per quel manoscritto. Avrebbe aperto l’asta senza neppure leggerlo. Se lo sarebbe disputato a suon di generose offerte. Lena Dunham dopo “Girls” ha ricevuto un anticipo di tre milioni e mezzo di dollari, per il memoir sconfinante nel self-help “Quel tipo di ragazza”. Una sommetta per Woody Allen la si sarebbe potuta trovare. Niente, tutti tremebondi: “E se poi boicottano il libro?” (in altre occasioni, son persone che si battono per un’editoria libera e senza censure: ci vorrebbe la penna di un Woody Allen per inchiodarli alle loro responsabilità).

 

“‘The Avengers’ – vuol dire vendicatori, se l’avete dimenticato – hanno conquistato il nostro mondo. Parliamone”. Era il titolo di un articolo sul New York Times, le migliori penne della cultura, del cinema e del pop riunite a discutere sul perché i supereroi hanno tanto successo. Sono una nuova e moderna mitologia? O sono soltanto storie ripetitive con la gente in calzamaglia? Al nuovo Hulk, macchina mortale tutta muscoli e intelligenza, abbiamo appena trovato un’occupazione. Potrebbe aprire la strada, c’è tanta pulizia da fare nel settore “idiozie”.

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